lunedì 30 marzo 2015

Una nuova area di interesse...

Notavo che ultimamente ho pubblicato post veramente molto cupi. Troppo cupi. E ho riflettuto attentamente su cosa fare. Questo blog è nato per raccogliere informazioni in generale sul mondo del soprannaturale, in modo da fare anche un po' di promozione turistica, già che c'ero.

Ma la motivazione che mi ha spinto, più di tutte le altre, era mettere insieme quante più informazioni potevo sull'argomento, in modo da non costringere gli appassionati della categoria a impazzire per cercare informazioni sul web. È un progetto un po' ambizioso, lo ammetto.

Ma perché non fare un tentativo?

Così, per risollevare gli animi, dopo tutte le storie truculente di cui ho parlato, ecco a voi, una nuova sezione: la sezione sulle creature magiche!

È un percorso un po' fuori dalla mia passione per i fantasmi e dal mio obiettivo primario, ma è altrettanto affascinante: il piccolo popolo, animali fantastici, creature marine misteriose... se vi ricordate, in questo post vi avevo accennato anche qualcosina sul mostro di Loch Ness. Ci ritornerò più avanti, non preoccupatevi!


Bene, cominciamo! Oggi vi parlerò dell'unicorno!



Detto anche liocorno, è noto a tutti per essere un cavallo, per lo più di colore bianco, con un corno sulla fronte.

In araldica è un simbolo molto diffuso, ed è illustrato come vi ho descritto, ma con una coda di leone e gli zoccoli di capra. Ha diversi significati: può significare forza e vittoria, oppure purezza e castità.

Molte nazioni e casate nobiliari l'hanno utilizzato come stemma. La casata degli Estensi, per esempio.

Attualmente, l'unicorno è anche il simbolo della Scozia.


Secondo alcuni teologi, l'unicorno è l'allegoria del Dio Figlio: il corno rappresenta il Dio Padre, mentre il manto bianco rappresenta la Vergine Maria. La loro unione ha dato origine a Gesù Cristo, ecco quindi spiegato perché questa creatura rappresenta la purezza.

Creatura indomabile, solo il tocco di una ragazza vergine può calmarlo.

Si dice che viva per lo più vicino al mare, dove sono stati ritrovati dei corni (molto probabile che si trattasse di corna di narvalo).

In verità, non si sa molto sulle origini di questa creatura mitologica, ma è sicuro che ha fatto parte per secoli dell'immaginario umano. Personalmente, più che alla purezza, io lo associo alla libertà. Non puoi imprigionare un unicorno e tenerlo per i tuoi scopi, lui deve vagare libero su questa terra.



Sapevate che esiste anche una piccola leggenda su questa splendida creatura?

Si racconta che la regina delle fate voleva a tutti i costi esplorare il mondo degli umani. Così prese il suo unicorno e cavalcò fino regno umano. Dopodiché, scese da... unicorno (è poco corretto dire “cavallo”, in questo caso) e andò in giro per il regno, lasciando la povera bestia da sola. L'unicorno si guadò in giro, spaventato. Non vedeva più la regina delle fate, e cominciò a cercarla. Tanto girò che, alla fine, si perse. La regina, tornò sul punto dove aveva lasciato la sua cavalcatura e, vedendo che non c'era più, si arrabbiò moltissimo. Lo cercò, furiosa, e, una volta trovato, lo fronteggiò. Il poverino arretrò, conscio della rabbia della sua padrona. Così facendo, però, finì in un cespuglio di rovi e si ferì, per la prima volta in vita sua. Con la perdita del sangue dovuta ai graffi, l'unicorno perse la sua magia. Il corno cadde a terra e lui si ritrovò a vagare in eterno nel regno degli umani. Fu così che nacque il cavallo!


Però... posso dirlo? Capricciosetta, la regina!

giovedì 26 marzo 2015

Il boia di Samoclevo

Finalmente, mantengo una vecchia promessa (fatta qui e qui) e scrivo un post sul Trentino.

L’inizio di una lunga serie, visto che il Trentino è pieno di castelli e, di conseguenza, di fantasmi e curiosità.

Per cominciare, vi parlerò di una leggenda che, quando ero piccola, mi ha lasciato impressionata da morire!

Questa leggenda è ambientata a Samoclevo, un paese nel bel mezzo della Valle di Sole. Se andate a visitarla, vedrete che si tratta di un paesino piuttosto piccolo, su cui troneggia un castello con il suo bel passato di sangue (come tutti i castelli, del resto). Basti pensare che il sentiero che porta dal paese al mastio quadrangolare è chiamato “strada delle piscine cruente”. Su quell’area, ebbe luogo uno scontro per il possesso della rocca che fece sì che l’area si riempisse di pozze di sangue. Da qui, il nome.

Siccome, però, non ne avrò mai abbastanza di questi racconti, ecco a voi la storia che ci interessa maggiormente:

Si racconta che i crudeli signori di Caldés si allearono con i signori di Samoclevo. Ai loro sudditi, poveretti, non rimase altro che scappare, anche perché i signori di Samoclevo avevano al loro soldo un boia che di sicuro non amava raccogliere margheritine nel tempo libero!

Infatti, nonostante fossero tutti riparati nella vicina Valle di Rabbi, vissero comunque nel terrore per diversi anni, dato che il boia, detto Gròstol o Gròtol, diede loro la caccia. Una volta trovato un fuggitivo, lo torturava fino a che il poveretto non si ritrovava a implorare la morte. Non esisteva alcuna pietà, nel cuore di quell’uomo.

Un giorno, esasperati, i contadini si organizzarono. Fecero un agguato al boia, agguato che riuscì perfettamente. Il Gròstol morì. Non ci furono ritorsioni da parte dei signori di Samoclevo, consci che avrebbero pagato anche loro le malefatte, se solo avessero provato a vendicare la morte del loro servo. E comunque, ogni eventuale tentativo di vendetta divenne perfettamente inutile. Una notte, la famiglia dell’uomo che commise l’atto di uccidere il boia ricevette una visita alquanto sgradevole. Dormivano placidamente nei loro letti, quando vennero svegliati da urla disumane e rumori di catene trascinate. All’improvviso comparve davanti a loro una fiammella, seguita da un’altra, poi un’altra, e poi altre ancora. I poveretti erano pazzi di terrore. Non venne fatto fisicamente alcun male, ma la visione si ripeté per diverse notti, fino a quando il prete intervenne benedicendo la casa e relegando lo spirito fino al Doss de la Cros, un crinale che si trova vicino a Pergine Valsugana.

Ma pensate sia finita qui? Neanche per sogno!

Passarono gli anni. Di quella vicenda non rimase che un cupo ricordo, e, col tempo, venne quasi dimenticata. Fino a quando un contadino non si perse nei boschi vicino al Doss. Stava calando la sera, era inverno, faceva freddo e stava pure per nevicare. Capirete anche voi che quel contadino non aveva avuto esattamente una bella giornata. All’improvviso vide qualcosa che gliela migliorò: impronte caprine nella neve. Magnifico! Probabilmente una capra si era persa! Bastava recuperarla e riportarla ai proprietari, sicuramente avrebbe riscosso una ricompensa, bastava anche solo qualcosa di caldo da mangiare! Esaltato, cominciò a seguire le orme. Camminò per un po’ fino a quando queste, di punto in bianco, sparirono. Ma… e la capra dov’era?

Perplesso, il contadino si guardò intorno. Niente, non c’erano proprio altre impronte! Neanche una! Preoccupato, l’uomo abbassò lo sguardo. Credo che perse più o meno dieci anni di vita in dieci secondi, visto che, giusto in quel momento, si formarono altre impronte da sole! Rimase a guardare la scena, terrorizzato, fino a quando, con una grande fiammata rossa, si formò davanti ai suoi occhi una forma demoniaca: un uomo con le zampe di capra e il fuoco negli occhi, puzzolente di zolfo, che gli urlava “voglio sangue!” Era il Gròstol, trasformato in demonio, che ancora reclamava vendetta.

A quel punto, il contadino scappò a gambe levate da quella zona maledetta.

Ed è così che si conclude la vicenda del Gròstol! Giusto per mantenere allegra la nostra settimana!

lunedì 23 marzo 2015

Varie ed eventuali considerazioni sparse...

Dopo un'assenza prolungata, rieccomi nel mondo dei vivi... la primavera mi ha risvegliato dal letargo in cui ero caduta... o almeno si spera! Mea culpa, come potete vedere prima di trovare un mio post bisogna scorrere il blog a lungo.

Oltre ad essere stata impegnata con il lavoro, in questo periodo mi sono documentata con più attenzione sul Cerchio... sì, faccio riferimento proprio ad uno dei miei post di Gennaio, presumo.

Dunque, in questi giorni ho scoperto che parte del rituale utilizzato oggi nella Wicca per aprire il Cerchio deriva nientepopòdimeno che dalla Magia Cerimoniale. Non discuto sul fatto che il Cerchio sia caratteristico anche delle religioni sciamaniche, e abbia avuto una precisa valenza religiosa per i popoli dell'antichità (i templi dei Paleoveneti e altri popoli antichi ad esempio erano semplici radure circolari di alberi), ma c'è da dire che ciò che conosciamo oggi deriva senza dubbio da un altro tipo di tradizione.

Secondo la Magia Cerimoniale, il Cerchio è tracciato dalla volontà psichica del mago attraverso l'utilizzo del corpo (dita, mani) o di uno strumento rituale attraverso il quale si canalizza l'energia (spada, bacchetta o verga). Vi ricorda nulla? Ebbene sì... la spada non sarebbe altro che l'athame, la bacchetta e la verga invece esistono anche nella Wicca.

Continuiamo. Il Cerchio per il mago può essere rafforzato ricorrendo ai simboli della Cabala (non lo scrivo traslitterato così evito di storpiare l'ebraico) oppure si possono tracciare anche più cerchi concentrici in base alle gerarchie celesti. Tutto ciò al fine di richiamare un'entità da un altro piano spirituale perché aiuti il mago durante il rito. Il Cerchio quindi ha valenza difensiva... blocca all'esterno le entità indesiderate e ci mette in contatto solo con quelle da noi invocate.

Fin qui, nulla di così eclatante. La differenza sostanziale secondo me tra ciò che propone la Magia Cerimoniale e ciò che viene assimilato dalla Wicca, è il fatto che nella prima, le entità richiamate dal mago (angeli, demoni, divinità ecc) vengono in certo senso "chiuse" nello spazio preparato per loro. Il mago a questo punto si serve dell'energia specifica dello spirito invocato al fine di raggiungere i propri scopi, qualunque essi siano.

Qui si potrebbe aprire un dibattito lungo secoli, a mio parere.
Qualcuno potrebbe dire che è esattamente questo lo scopo a cui serve il cerchio... nessuna novità, quindi. Per praticare la magia, ovvio che si debba invocare una divinità che ci aiuti!
Io però, sono rimasta un po' delusa da questo. Alla fine, dipende sempre da ciò che ciascuno di noi cerca. Secondo me, più che forzare o "attingere" all'energia di spiriti e divinità per modificare la nostra vita, il contatto con il divino va cercato per trovare un equilibrio... un ponte, che ci permetta di vivere in equilibrio con quanto ci circonda, e non di piegare le forze della natura ai nostri desideri.
Un conto è vivere cercando di comprendere ciò che ci circonda, un conto è pensare di ottenere tutto ciò che si vuole tramite il culto.  

Detto questo, calmo gli animi dicendo che, a prescindere da Wicca e Magia Cerimoniale, sta ad ognuno di noi scegliere in che modo utilizzare la conoscenza e l'energia.  Alla fine il Cerchio può benissimo essere considerato soltanto un modo per avvicinarsi maggiormente al divino mentre si celebra... però è anche interessante e secondo me utile sapere a cosa si rifanno certe teorie, e non prenderle come un dato di fatto, specie quando ci si avvicina ad una religione pagana.

Tornando a noi: alla fine della fiera, è abbastanza evidente che Gardner ha attinto dalle sue esperienze in campo esoterico (ordine della Golden Dawn[1], tanto per dirne una?) più che da vere e proprie tradizioni pagane sopravvissute nel corso dei secoli... per chi si approccia ad una religione pagana per la prima volta quindi, è bene sapere che il Cerchio in altre tradizioni non esiste... o meglio non come lo intende la Wicca moderna.

Perché ho fatto questa precisazione inevitabilmente lunga?

Primo, perché come già detto prima, visto che non siamo di fronte ad una religione rivelata tramite libri misteriosi la cui parola è legge assoluta, usare la testa è d'obbligo. A prescindere dallo scopo che noi vogliamo fare dei simboli Wicca, è sempre bene sapere da dove vengono... qual era il loro scopo, per cosa sono stati pensati. Ciò ci fa capire anche che tipo di strada noi stessi vogliamo percorrere. Secondo, perché chi intende avvicinarsi al neo paganesimo (dubito che qualcuno di voi lettori lo farà, viste le mie prediche pedisseque) è necessario sapere che esistono due principali correnti... quella della Wicca, che è in larga parte una religione sincretica, e quella dei culti ricostruzionisti.

La Wicca è una religione sincretica perché vede il divino essenzialmente in termini "universali": il Dio, grande principio maschile; la Dea, grande principio femminile; i quali fanno parte dell'Uno, del Divino che regola ogni cosa. Quindi attinge a diverse tradizioni religiose (specialmente quelle nordiche, celtico-germaniche) prendendone i tratti comuni e integrandoli con elementi tipici dell'esoterismo occidentale e Magia Cerimoniale.

I culti ricostruzionisti invece si propongono di riprendere i culti arcaici nella loro interezza, studiando le fonti degli antichi, il loro modo di percepire il divino, le festività, le offerte, la mitologia ecc.
Per questi ultimi, c'è un motivo se noi siamo nati in una parte ben specifica del mondo... per chi si avvicina al paganesimo quindi, sarebbe importante studiare anche la tradizione religiosa del luogo in cui si vive.

Vi do alcune indicazioni... Stregheria Italiana, Cultus Deorum Romanorum, Druidismo (non dimentichiamoci la presenza dei Celti nel nord) e anche alcuni culti arcaici preistorici, come quello di Reitia e Aponus[2], antiche divinità venete....

Se questi nomi non vi dicono nulla, non vi preoccupate perché provvederò presto o tardi (spero presto) a subissarvi con articoli che approfondiscono questi culti... ebbene sì, sappiate che non sono solo le streghe toscane, campane, calabresi o lucane ad avere una tradizione, ma ci sono anche le streghe venete...

A presto ;)



Ps: Se siete curiosi di saperne di più sulla Dea Reitia, intanto potete leggere questo bellissimo post nel sito "Il Cerchio della Luna".






[1] L'ordine della Golden Dawn è una società segreta di tipo iniziatico fondata alla fine del XIX secolo da parte di tre signori appartenenti alla Massoneria e alla società segreta dei Rosacroce. Si basava in gran parte sulla tradizione della Cabala ebraica, e si prefiggeva lo sviluppo spirituale degli appartenenti, nonché lo studio e la condivisione (ristretta) di conoscenze e pratiche di tipo esoterico.
[2] Reitia è la divinità Paleoveneta associata al culto della fertilità, della salute e delle bestie selvatiche... il suo culto presso i Romani viene assimilato a quello di Diana e Minerva. E' spesso raffigurata con una chiave uncinata in mano. Aponus è invece il dio delle Acque, da cui deriva il nome geografico di... indovinate un po'? Abano Terme. Ovviamente il suo culto in epoca romana è stato associato ad Apollo, ed è una continuazione di più antichi culti preistorici. 

martedì 17 marzo 2015

Superstizioni marinaresche

In questi giorni mi sto guardando intorno per farmi un tatuaggio. Uno piuttosto piccolo, alquanto semplice. Ma sono un tipo particolare. Quando voglio una cosa, cerco informazioni a riguardo su Internet fino a sfinirmi.

Quindi, girando tra i vari siti, ho scoperto una superstizione legata ai tatuaggi alquanto pittoresca: pare che farsi un numero pari di tatuaggi porti sfortuna. Se ti limiti a uno, bene, se ne fai due, non va bene, tre ok, quattro, ahia!, e così via.

Come ho già detto, sono un po' superstiziosa. Ma sono anche curiosa, e questa curiosità mi ha spinto a cercare ulteriori informazioni. Anche perché non mi dispiacerebbe farmene due! Tre, a meno che non siano molto piccoli, comincerebbero a essere troppi!

Ho scoperto l'origine della superstizione. Pare che sia legata, come avete potuto capire dal titolo, ai marinai. Girando il mondo, alcuni di loro hanno cominciato a farsi tatuare il corpo ogni volta che facevano porto. Quindi, un tatuaggio lo facevano nella loro città d'origine, un altro lo facevano a destinazione. Una volta volta tornati a casa, se ne facevano un terzo. Il secondo tatuaggio assumeva quindi un significato profondo e terribile: si era lontani da casa e dagli affetti. Se non ci si faceva il terzo, era perché probabilmente non si sarebbe mai più tornati a casa.

Ovviamente sono tutte superstizioni ridicole, ma c'è chi approfitta di questa scusa per farsi un tatuaggio in più...


Una volta letta questa leggenda, mi sono accorta che il mare, con la sua impetuosità e vastità, ha dato da mangiare, e lo fa tutt'ora, a tantissime persone. Non sono un'ambientalista sfegatata, anzi, ma, considerando le schifezze che ci buttiamo dentro ogni giorno, mi viene spontaneo pensare ironicamente “bella gratitudine!”...

Ad ogni modo, giusto l'altra sera leggevo un libro in cui si parla di leggende veneziane (Leggende della Laguna e racconti di streghe, di Alberto Toso Fei. È da lui che ho tratto ispirazione per il blog. Se volete prendere il libro, andate alla Feltrinelli. Qui in Veneto l'ho trovato soltanto lì, anche in internet è difficile da reperire.). E lì sono incappata in una superstizione marinaresca che mi ha incuriosita.

Dovete sapere che, molti anni fa, c'era un grande rispetto per i morti. Quando una persona moriva, andava seppellita in terreno consacrato, con un rito funebre atto a facilitare il defunto al suo arrivo nell'aldilà. La condanna peggiore per un uomo era non venire sepolto, o venire comunque tumulato in un terreno sconsacrato. La sua anima sarebbe stata condannata al limbo o, nel peggiore dei casi, alle fiamme dell'Inferno. Non a caso, i suicidi e i non battezzati non venivano mai sepolti nei cimiteri. Era una condanna durissima, poco importava se la ragione del tuo non battesimo era semplicemente perché eri morto subito dopo il parto e non avevano fatto a tempo a battezzarti (anzi, mi sa che in questo caso, la sepoltura avveniva in terreno consacrato. Ma niente salvezza eterna). Per quanto riguarda il suicidio, beh, non esisteva la psicoterapia, quindi c'è poco da dire. Non si faceva e basta. Dio ti aveva dato la vita, e tu avevi deciso di rifiutarla. E non si rifiuta un dono di Dio. Il suicidio, poi, così come l'omicidio, è particolarmente rognoso, per un cristiano. Mentre per gli altri peccati si può sempre chiedere (ed eventualmente ottenere) il perdono, il suicidio e l'omicidio sono senza rimedio. Nel caso del suicidio, non sei più fisicamente in grado di chiedere perdono, quindi, ciò che non chiedi, non ottieni. Per l'omicidio, puoi anche ottenere il perdono dei cari della vittima, ma chi ha subito il tuo peccato non potrà mai dire “ti perdono”.

Ma sto divagando. E sto anche rendendo questo post estremamente cupo, adesso che lo sto rileggendo.

Ma tant'è...



Ad ogni modo, cosa c'entra tutto questo con il mare? Leggete un po'!

C'è una leggenda, ambientata a Venezia (tanto per cambiare), che mette in guardia dal mancare di rispetto ai morti. La leggenda parla del capitano di un peschereccio. Anche lui, come i pescatori di questo post, era un uomo indurito dalla vita che faceva. Lontano anche lui dalla famiglia per gran parte dell'anno, ormai il suo cuore era diventato praticamente una roccia. Un bel giorno, i suoi uomini, tra le altre cose, pescarono il cadavere di un uomo annegato. Pensarono subito che era il caso di caricarlo sulla barca per dargli una sepoltura una volta sbarcati, ma il capitano fece pressione perché il morto venisse lasciato al suo destino. Avevano subito un forte rallentamento a causa di un'ondata di maltempo, raccogliere il corpo significava perderne ancora più e arrivare a concludere i suoi affari in ritardo. O non concluderli affatto.

Così tirarono dritto. Non ebbero neanche un problema, durante quella navigata. Riuscirono a tornare a casa dalle loro mogli, ma, trascorsi alcuni giorni, i pescatori dovettero ripartire. Fu allora che cominciarono i guai. Una tempesta si abbattè su di loro, furibonda. I poveri pescatori fecero del loro meglio per governare le barche. Alla fine, allo stremo, realizzarono che quella era la loro punizione per aver abbandonato il cadavere in mare, senza dargli sepoltura. Così l'equipaggio si ammutinò contro il capitano, abbandonando la nave e raggiungendo la riva a nuoto. Capendo che la disgrazia era solo colpa sua, l'uomo, probabilmente terrorizzato e, spero per lui, anche pentito, riuscì comunque a fare porto. Ebbe salva la vita, ma l'annegato non aveva esaurito la sua sete di vendetta. Il capitano decise di non tornare mai più in mare, ma la sua reputazione andò comunque distrutta. Le sue barche non furono mai acquistate, in quanto avevano la fama di essere maledette, e il pover'uomo morì in miseria, abbandonato da tutti.


Insomma, mai scherzare con i morti! Non si sa mai a che cosa si va incontro!

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venerdì 13 marzo 2015

Il fantasma di Azzurrina

Prima di cominciare, ci tenevo tantissimo a fare una piccola premessa. Finché potrò, pubblicherò articoli su posti che ho realmente visitato. Questo perché credo profondamente nel fatto che articoli di questo genere vengano fuori molto meglio se riportano la propria esperienza diretta. È una cosa più personale, di conseguenza viene anche trasmessa meglio al lettore. Logicamente, però, non mi sarà sempre possibile. Come vi ho già detto in questo post, ad esempio, la Scozia non l’ho mai visitata . Come non ho avuto modo di visitare la Valle dei sette morti o Cà Dario. Con l’arrivo della bella stagione, comunque, dovrei essere abbastanza in grado di seguire il mio proposito. Abbiate pazienza, intanto, e godetevi la prossima storia!

Ed eccoci di ritorno con un racconto che sicuramente conoscete! Anche se magari non siete così appassionati di fantasmi, sono pronta a mettere la mano sul fuoco che questo l’avete sentito nominare almeno una volta in tutta la vostra vita: Adelina Malatesta, figlia del signore di Montebello, meglio nota come Azzurrina.

Si tratta di una leggenda che è stata tramandata oralmente dalla fine del 1300 fino al 1620, quando finalmente un parroco di quella zona trascrisse la vicenda.

Correva l’anno 1370. Anno in cui cominciavano ad andare molto di moda le accuse di stregoneria. Sapevi curare un raffreddore? Strega! Ti grattavi la testa? Marchio del diavolo appena formato, quindi: strega! Provavi a difendere un amico dall’accusa di stregoneria? Strega anche tu! Starnutivi tre volte di fila? Strega.

Capite anche voi, non si respirava propriamente una bella aria serena…

In quell’anno, venne alla luce la figlioletta di Uguccione Malatesta, signore feudale di Montebello: Adelina. Bambina molto carina e ben voluta, aveva solo un piccolo e trascurabile difetto: era albina. Fortunatamente per lei, non lo era a tal punto da avere gli occhi rossi. Infatti pare che fossero azzurri. Ma i capelli erano bianchissimi, come la neve. Per proteggerla dalle superstizioni locali, che illustravano gli albini come progenie diretta del demonio, il padre la segregò all’interno delle mura del castello e la madre cominciò a tingerle i capelli con l’intento di farglieli diventare neri. Peccato che la tinta non attacca sui capelli degli albini, o, almeno, non come farebbe sui capelli normali. Infatti il colore stingeva subito, lasciando solo un riflesso azzurrino nella chioma della bambina, riflesso che le valse il soprannome di Azzurrina.

Passarono gli anni. Arrivò il 21 giugno del 1375, giorno del solstizio d’estate. Stava per arrivare un brutto temporale. Ma Adelina, nell’innocenza dei suoi cinque anni, non ci fece caso. Corse nel cortile del castello a giocare con una palla di stracci, tenuta d’occhio da due armigeri.

All’improvviso, un tiro troppo forte fece rotolare la palla nella ghiacciaia del castello. Adelina corse a prenderla. Fu questione di un attimo: i due armigeri sentirono la bambina urlare terrorizzata. Corsero alla ghiacciaia per soccorrerla, forse pensando che probabilmente la piccola si era chiusa dentro per sbaglio e aveva preso paura. Ma una volta dentro scoprirono che… era scomparsa! La cercarono in lungo e in largo, ma di lei non se ne seppe più nulla. Altra cosa curiosa: con la sua scomparsa, il temporale passò.

Da allora, si dice che, ogni cinque anni, il 21 giugno, si sentono i lamenti della piccolina che chiama la sua mamma.

Pare che siano anche riusciti a registrare il lamento, e lo facciano sentire ad ogni visita.

Nel 2010, però, degli esperti hanno preparato tutta l’attrezzatura necessaria per captare quel suono e capire la sua eventuale provenienza. Non hanno sentito nulla. Chissà, forse Adelina si è intimidita.

Ora, facciamo due conti. Se il fenomeno si manifesta ogni cinque anni, vuol dire che, con ogni probabilità, si manifesterà anche quest’anno. Chi andrà a sentire se la piccola Azzurrina sta ancora cercando la sua mamma?

martedì 3 marzo 2015

Laguna da... brivido!!!

C'è una zona della laguna di Venezia chiamata “Fondo dei sette morti”.



A dirvela tutta, comincio a preoccuparmi di me stessa, gran parte di quello che vi ho scritto parla di morte, alla faccia dell'ottimismo!


Ok, andiamo avanti. Dicevo, il “fondo dei sette morti”. Si tratta di una zona di pesca dove è ambientata una leggenda a dir poco macabra.


Tutto ebbe inizio una sera di tanti anni fa. C'era una barca governata da sette pescatori che, giustamente, pescavano. Erano persone indurite dal passare degli anni e dalla vita che conducevano, lontani dalle famiglie per la maggior parte dell'anno. Quel giorno in particolare avevano avuto una giornataccia: erano intirizziti dal freddo, non avevano pescato assolutamente nulla e per di più si stava avvicinando una tempesta. All'improvviso uno di loro chiamò gli altri a gran voce. Aveva buttato una rete in mare e sembrava che stesse raccogliendo finalmente qualcosa. Qualcosa di molto pesante. I suoi sei compagni si fiondarono su di lui, afferrarono la rete e tirarono con quanta più forza poterono. Una volta riusciti a issare la rete sulla barca, scoprirono che il loro bottino altro non era che... il cadavere di un uomo, probabilmente annegato.

Era costume, all'epoca, dare degna sepoltura alle persone. Si diceva che un uomo non sepolto sarebbe stato condannato a vagare per l'eternità. Nelle zone di mare non sono rare, infatti, le leggende di fantasmi che implorano i loro cari di trovare il loro corpo e celebrare il funerale. Quindi, senza farsi troppi problemi, i sette pescatori adagiarono il cadavere in un angolo della barca e continuarono a lavorare.

Ormai, però, la tempesta era arrivata. Cominciò a infuriare su di loro, minacciando di ribaltare lo scafo più e più volte. Si salvarono grazie alla loro esperienza. Mentre il temporale dava loro un attimo di respiro, videro una valle di pesca, con quello che i veneziani chiamano casòn. Ora, essendo nata in Veneto, parlo il dialetto in modo abbastanza fluente, quindi, come suonerà comunque ovvio anche a chi non è di queste parti, vi dirò che casòn vuol dire, più o meno, casa. Era il genere di case rurali dove vivevano i nostri nonni e bisnonni, per farvi capire. Ma non so la funzione precisa di un casòn in mezzo alla laguna. Non so se fosse semplicemente un'abitazione, o avesse comunque delle particolari funzioni.

Ad ogni modo, lasciarono la barca al molo ed entrarono nella catapecchia.

Dentro non trovarono nessuno, a parte un bambino. Questo bambino, non avrà avuto più di sette o otto anni, era un povero orfanello, abbandonato lì dai suoi padroni, presso i quali faceva il servo.

Il poverino era mezzo morto di freddo e di paura, in più aveva una gran fame.

I pescatori non fecero caso a lui. Accesero un fuoco e cominciarono a prepararsi della polenta.

Il bimbo fece per avvicinarsi, per scaldarsi un pochino e, perché no, magari chiedere anche un pochino da mangiare. Venne allontanato in malo modo.

Il piccolo si rannicchiò in un angolino, piangendo e tentando in qualche modo di riscaldarsi.

Sentendo il profumo della polenta, dopo un po' non ce la fece più. Si alzò e fece un altro tentativo. Ancora una volta, venne cacciato.

Al terzo tentativo, uno dei pescatori gli disse “Vuoi mangiare? Allora renditi utile! Sulla barca ormeggiata qui fuori, c'è un nostro compagno che dorme. Sveglialo e conducilo qui, se proprio vuoi mangiare!”.

Il bambino si alzò tutto speranzoso, mentre i pescatori scoppiavano a ridere. Arrivò alla barca di corsa, individuò il “compagno” dei pescatori e cominciò a scuoterlo per svegliarlo. Ovviamente, ogni tentativo fu inutile. Così tornò al casòn. “Il vostro compagno non si sveglia. Ho fatto di tutto per svegliarlo, ma deve essere molto stanco. Per favore, datemi da mangiare!”.

L'uomo che lo aveva mandato alla barca rispose che gli avrebbe dato da mangiare solo ed esclusivamente se avesse svegliato il loro compagno e lo avesse portato lì. Il bambino tornò alla barca e ricominciò a scuotere il cadavere. “Per piacere, signore, svegliatevi e venite con me!” implorò, singhiozzando “Se non lo fate, i vostri amici non mi daranno da mangiare! Per favore, svegliatevi!”.

A quel punto, il cadavere si rianimò e gli disse “non preoccuparti, bambino. Verrò con te.”

Dopodiché, si alzò e lo seguì nel casòn, dove i sette pescatori stavano ancora sghignazzando per quella burla crudele.

Ecco, signori, il vostro compagno è sveglio! È qui con me!”

I pescatori scoppiarono a ridere ancora più fragorosamente, ma la risata morì nella loro gola non appena videro il cadavere che li guardava con terribile ira negli occhi.

Avevano osato deridere un bambino innocente, senza farsi nessuno scrupolo a lasciarlo morire di fame. I pescatori implorarono pietà, ma era troppo tardi. Il cadavere puntò il dito contro di loro. Uno per uno, caddero a terra, morti stecchiti.


Ovviamente, trattandosi di una leggenda, ne esistono diverse versioni. Una di queste racconta che i pescatori erano sei. E il bambino era in compagnia del suo cane. E quando il cadavere li indicò per farli morire, diede ai pescatori il nome di sei dei sette vizi. Poi, indicò sé stesso con il nome di Ira, prima di tornare nel mondo dei morti. Il bambino venne identificato con l'innocenza e il cane con la fedeltà.


E poi diciamo che le nostre tradizioni sono noiose!


Quello che mi chiedo è: ma ad Halloween, che cosa vi racconterò?