sabato 19 dicembre 2015

Del Natale, di viaggi con la mente e di speranza…

Lo confesso. Stavo per mollare il blog. Pensavo: lo leggono quattro gatti, perché dovrebbe interessare a qualcuno quello che scrivo? Senza contare che ultimamente ho poco tempo per andare dietro a tutte le migliaia di cose che faccio.

Poi ci ho riflettuto bene. Sì, è vero, tempo ne ho poco. Sono sempre in giro, “’vanti e indrio come ea pee dei oci” come si dice da queste parti (trad.: avanti e indietro come la pelle degli occhi), quindi non posso garantire a questo blog una certa continuità. Spero, il prossimo anno, di riuscire a essere più presente e ad avere più materiale da presentare. In linea teorica dovrebbe essere così, ma preferisco non dire altro, per scaramanzia.

E poi, stavo considerando diverse cose. Innanzitutto, la mia storia personale. Non so se vi ricordate, in questo post avevo parlato del Metodo Oh’Oponopono. Con oltre un mese di ritardo, voglio aggiornarvi su questo punto. Confermo, non è il metodo miracoloso in cui reciti una formuletta magica e tutto si risolve per magia. Un corno! Ma il suo lavoro lo fa. Applicandolo per un mese, dandomi attenzione, ho avuto l’opportunità di vedere i miei schemi, le mie paure. Ho potuto rivedere i miei sogni, che stavo trascurando in un modo vergognoso. Certe relazioni, che sembravano destinate alla rottura, le sto ricostruendo. Al lavoro mi sto applicando il più possibile e i risultati li vedo. Mi sono accorta che certe paure, che sembravano delle chimere inaffrontabili, in realtà sono più che in grado di affrontarle e superarle. Ne ho ancora di strada da fare, ma sapere che sto facendo la cosa giusta aiuta parecchio.

In questo calderone ho aggiunto diverse altre cose. Guardandomi attorno, mi sono resa conto che la sfiducia è diventata parte dell’atmosfera generale. Troppa gente è convinta che è inutile sognare, che bisogna accontentarsi. Senza contare che abbiamo chi costantemente ci ricorda che non possiamo avere aspirazioni, pensare un po’ fuori dagli schemi. Nonostante abbiamo tutto, alla fine ci siamo ritrovati ad essere una manica di depressi.

Perdonate il tono acido, ma devo ammettere che per me è un tasto molto dolente. Non mi piace chi distrugge i sogni e le aspirazioni degli altri. Un atto simile lo trovo di una codardia immensa, soprattutto se fatto per rivalsa personale o per farsi i propri comodi sulle spalle delle persone.

Con questo non dico che dobbiamo ribellarci e fare una rivoluzione. Come ho già detto in altri post, non sono il genere di persona che inneggia alla rivoluzione, né sono tipo da complotti. Personalmente, ritengo che quel genere di persona sia qualcuno da non prendere sul serio. Questo fino a quando non vedrò dei riscontri in quello che dicono.

Tuttavia sono profondamente convinta che ci sia altro, oltre a quello che viviamo, ragion per cui non intendo arrendermi.

In contemporanea a questi pensieri, mi sono ritrovata a leggere questo post, dal blog di Luciana Littizzetto, in cui spiega con termini più chiari il mio pensiero. Aggiungiamo il fatto che è Natale, tempo di incontri, di riflessioni e si arriva a questo post.

Il mio desiderio e il mio messaggio, per questo Natale, è quello di non arrendersi mai. Anche se siete stanchi di sperare, anche se pensate che quello che volete non si realizzerà mai, non arrendetevi. Trovate un modo per realizzare i vostri desideri, e tenete conto di una cosa: se anche si realizzano in piccolo, considerate che si sono realizzati! Un esempio è questo blog, e il mio account su EFP Fanfiction. Sì, ho nutrito dubbi per mesi sul mio modo di scrivere, visto che non sono tanti a fare una capatina in questo blog, o a dare una letta alle mie storie. E a volte è un po’ deprimente, lo ammetto. Ma c’è sempre qualcuno che legge (e vi ringrazio davvero tantissimo!) e ho scoperto che, anche se mi piacerebbe se ci fossero più persone a seguirmi, comunque per ora mi basta. E sto lavorando per migliorare il mio modo di scrivere e di approcciarmi ai miei lettori. In fondo, mica tutti nasciamo esperti!

Quindi, davvero, non arrendetevi a chi vi dice che i vostri desideri non sono validi. Se i vostri desideri vi danno una spinta, e se quando non li seguite state male, allora questo deve bastarvi per andare avanti!

Per quanto riguarda me, il significato del Natale è anche questo. Speranza per il futuro. Non arrendetevi mai!

E ora, passiamo alla storia di rito. Se ben ricordate, in questo post vi ho raccontato dei miei due giorni in Trentino.

Non vi ho raccontato tutto, ed è stata davvero dura tenermi questo racconto fino ad ora! Ora che è il momento di narrarvi questa storia, invece, mi sembra assurdo che siano passati già quattro mesi!

Dunque, vi ho raccontato della mia camminata verso la rocca, dei miei pensieri, della mia passeggiata a Castel San Michele. Ed è proprio qui che vi riconduco. Ricordo che in quel momento pioveva, era già buio, e faceva un discreto freddo, nonostante fosse estate. Arrivata al castello, sono entrata nei cortili. In quelli esterni c’erano degli scultori del legno che lavoravano. Nel cortile interno, invece, non c’era praticamente nulla. Il mastio era chiuso ai visitatori. Mi sono fermata nel bel mezzo del cortile e ho ammirato la torre. Non sono durata a lungo, la pioggia cadeva e non avevo ombrelli con me. Girandomi per andarmene ho notato delle sale, probabilmente stalle, o alloggi della servitù. Mi sono avvicinata, incuriosita, visto che non c’erano neanche delle transenne o delle porte. In una di quelle sale ho trovato una piccola sorpresa: un presepe animato!

Confesso di non avere un grande spirito di osservazione. La saletta era immersa nell’oscurità. Tuttavia distinguevo bene le statuette, quindi non mi sono posta il problema di accendere le luci, mi sono limitata a godermi l’immagine del presepe e il silenzio che regnava. In effetti, non mi sono accorta che il presepe era animato fino a quando non sono arrivati altri visitatori e hanno premuto un pulsante. A quel punto la saletta si è illuminata e le statuine hanno cominciato a muoversi. C’era anche una musichetta natalizia.

Il presepe non era un classico presepe con l’immagine della Sacra Famiglia. Sì, c’era, logicamente, ma la storia che raccontava era anche un’altra. Anzi, altre due.

Le storie di tregue non ufficiali effettuate durante la prima guerra mondiale, in occasione del Natale.

Dunque, se devo essere sincera, non sono una credente in senso stretto. Credo nell’esistenza di Dio, ma non riesco a darGli un volto. Così ho finito con allontanarmi dal cristianesimo, sebbene non abbia nessun dubbio sull’esistenza di Gesù e sulla validità del Suo messaggio. Senza contare che il mio vissuto mi impedisce di dare troppo credito alla Chiesa. Non me ne vogliano i cattolici osservanti, ho un gran rispetto per loro, come per chiunque segua qualunque religione. A patto che non cerchino di impormela. E non mi sentirete mai spiegare cosa mi ha spinto a pensarla così, proprio per una questione di rispetto.

Ma, dato che ho bisogno anch’io della mia dose di spiritualità, i miei trascorsi mi hanno portata ad avvicinarmi ai rituali del paganesimo.

Tuttavia, mentirei se vi dicessi che quelle storie, così marcatamente cristiane, non mi hanno toccata nel profondo. Ero lì, in silenzio, a leggere quelle storie, ad ascoltare la riproduzione delle esplosioni e le musiche di Natale, a guardare la storia che mi raccontava quel presepe, tra l’altro in un momento della mia vita molto delicato. In quel momento, ho ritrovato il senso della solidarietà tanto decantata dalle religioni di tutto il mondo. Pensavo di averlo perso per sempre. Ricordo che, alla fine, avevo il viso inondato di lacrime. Singhiozzavo, persino, e ho fatto una gran fatica a smettere.

Spero che queste storie facciano venire in superficie questi sentimenti anche a voi.

Buon Natale!

lunedì 5 ottobre 2015

L'Arcano Senza Nome

Ben ritrovati in questo mese favoloso che è Ottobre!!

Neanche si capisce che a breve compirò gli anni... questo per me è uno dei mesi più magici dell'anno.
Ma oggi non sono qui per descrivervi la festa del Capodanno Celtico, né per decantare tutte le bellezze dell'autunno.
Vorrei invece soffermarmi su un altro argomento che mi affascina praticamente da sempre, e cioè i Tarocchi (e più in generale, la divinazione). Nello specifico, vorrei parlarvi del significato dell'Arcano senza Nome, il tredicesimo degli Arcani Maggiori.
Nonostante ci siano molte leggende circa l'origine dei Tarocchi come carte da gioco e metodo di divinazione, quello che è indubbiamente certo è che a livello simbolico contengono una miriade di informazioni usufruibili da chiunque abbia il piacere e il coraggio di leggere. Mi piace pensare ai Tarocchi come a una sorta di alfabeto illustrato, un linguaggio antico che ci mette in contatto con il nostro sentire più profondo...



Quando la carta della Morte esce in una lettura, ci mette in contatto con il nostro passato... e lo stesso fa (o dovrebbe fare) la festa di Samhain.
In alcuni mazzi la Morte viene segnata col numero romano XIII, un numero che sta al di là del tempo... 12 sono i mesi, 12 sono le lune dell'anno... La tredicesima luna, che in genere viene nominata Luna Blu, è la luna dello straordinario che agisce nella nostra vita, è la luna delle seconde possibilità, dei desideri che si avverano. Durante la festa di Samhain, il velo tra la nostra realtà e il mondo degli spiriti si assottiglia, dandoci la possibilità straordinaria di entrare in contatto con i nostri cari defunti, di onorare gli antenati, ma anche di lasciar andare ciò che non ci serve più. E' il tempo di finire e iniziare, in cui la ruota si ferma e riparte...
La carta della Morte viene anche definita nei Tarocchi di Marsiglia "L'Arcano Senza Nome", che non fa altro che rendere ancora più significativa la sua posizione "al di fuori del tempo".
La Morte è senza nome perché cancella, pulisce, libera... è una forza potente che può portare dolore ma anche offrire una via di fuga a una situazione oppressiva, distruttiva.

Il suo messaggio è: "Io porto il cambiamento, la cancellazione del passato... perché tu che ascolti possa essere di nuovo senza nome"

Chi è senza nome può essere libero di diventare qualsiasi cosa voglia.
La Morte è quindi l'arcano del cambiamento profondo, della discesa negli inferi... si scende nelle profondità di sé stessi per risolvere l'incompiuto, portare a termine le questioni irrisolte dentro di noi.
L'Arcano ci invita alla riflessione, al silenzio, a dare un colpo di falce a tutto ciò che ci sta trattenendo nella morte dell'anima.
Solo affrontando il passato, i lutti, gli addii, si può andare avanti. Solo creando il vuoto dentro di noi potremo sapere come riempirlo...
Eppure la nostra società ci ha insegnato a temere gli spiriti dei defunti e a scacciarli, piuttosto che cercare di dare loro pace, di riservare loro un posto nel cuore... ma ancora più del cuore, nel sacro.
Molte religioni politeiste e sciamaniche danno un posto di rilievo al culto dei morti, e questo perché? Perché sono le nostre radici che ci sostengono: geneticamente, culturalmente e spiritualmente parlando.



Scegliendo di respingere il contatto con la morte, con i defunti, con le nostre parti più vulnerabili, scegliamo di abbandonare anche ciò che ci tiene in contatto con la nostra identità profonda, e l'unico mezzo per costruire con coscienza il nostro futuro... non è un caso che molto spesso al giorno d'oggi si senta parlare di costellazioni familiari e psicogenealogia (avvertimento per i più scettici, questa è una sezione molto affascinante della psicologia e studiata scientificamente).
La società ci ha insegnato che la morte si può sconfiggere, che la vita è da preservare a qualsiasi costo... eppure la morte preserva la vita. La verità è che possiamo condannare e combattere solo le morti ingiuste e ciò che del passato ingiustamente lasciamo dietro di noi, calpestandolo.
La Morte infatti parla di lasciar andare soltanto ciò che non ci serve più... l'essenziale invece, ciò che ci è veramente utile, sarà sempre con noi. In questo senso la Morte è un Arcano a mio parere molto meno pericoloso della Torre... poiché indica un distacco o una separazione necessari allo sviluppo della persona.

Durante questo mese invito tutti i lettori quindi, me compresa, ad entrare in contatto con la loro personale morte... che sia un lutto non superato, un atteggiamento doloroso che può essere abbandonato, un lavoro che vi tiene bloccati... riflettiamo su ciò che vogliamo abbandonare, ma anche su ciò che ci tiene saldi...


Le nostre radici ci aspettano!

giovedì 1 ottobre 2015

Il Metodo Ho'oponopono

Questa volta sconfino nel territorio di Jessica, per parlarvi di una pratica che mi sono ritrovata tra le mani. Vorrei mettervi al corrente di un percorso che voglio intraprendere.

Dovete sapere che, negli ultimi anni, ho passato dei momenti parecchio bui.

Avete presente quei momenti in cui, anche se all’apparenza avete tutto, e non dovreste assolutamente lamentarvi di nulla, comunque non vi sentite felici? Eccomi lì, la mia copia sputata.

Non posso dire di aver risolto le cose, anzi. Ne sono molto distante.

Ma facciamo un ulteriore passo indietro.

Anni fa ho passato un periodo, durato parecchi mesi (anzi, diciamo pure tre o quattro anni), in cui credevo alla Legge dell’Attrazione. Ho letto “The Secret”, visto il film, letto ogni sorta di libri in cui si parlasse di quella legge. Inizialmente funzionava. E non sto scherzando.

Due episodi mi sono rimasti impressi. Lavoravo in un hotel in mezzo ai monti, all’epoca. Il personale mangiava nella sala ristorante insieme ai clienti, ma, in pratica, mangiavamo quello che veniva avanzato dal giorno prima. E niente dolci. Ricordo che quel giorno avevo pensato che, invece, ne avrei tanto voluta una fetta. Ero comunque disposta ad andare al supermercato a comprarmene una, sia chiaro! E invece…

Ho fatto due chiacchiere con uno dei camerieri, senza accennargli al fatto che mi sarebbe piaciuto avere un po’ di dolce. A parte che non sono mai stata particolarmente solerte nel far presente alle persone cosa voglio io, le regole erano regole. Per quanto stupide, male non mi facevano, potevo quindi seguirle senza farmi troppi problemi.

Beh, dopo pranzo, il cameriere è salito nell’area riservata al personale e mi ha portato una fetta di strudel, uno dei miei dolci preferiti. A dirla tutta, anche se questa cosa mi ha colpito, ammetto di averla archiviata come coincidenza.

Un altro fatto è avvenuto pochi giorni dopo. Era un momento, a lavoro, in cui non avevo molto da fare, così ho provato a mettere alla prova questo “segreto” che avrebbe dovuto cambiarmi la vita. Ho disegnato un braccialetto d’argento con delle stelle fatte dello stesso materiale. Mi sentivo un po’ stupida a fare così, tuttavia, mentre lo disegnavo, pensavo “beh? Perché no?”

Quel pomeriggio stesso, decisi di andare a fare una passeggiata. Più di tutto, volevo vedere l’altro hotel in cui lavoravano i miei titolari. Non l’avevo mai visto, così presi coraggio e mi avviai. Se ci andate ora, la zona è in desolazione completa. Per quanto ancora frequentata, visto che il posto si trova sulle piste da sci, è stata proprio abbandonata. Ma all’epoca, la crisi economica era appena iniziata e quell’hotel, come scoprii quel giorno, ospitava un piccolo centro commerciale con sala giochi, negozio di souvenir, centro benessere, edicola e una piccola gioielleria. Sono stata molto sorpresa soprattutto di trovare una gioielleria proprio lì. Tenete anche conto del fatto che non avevo la macchina con me, per tutta una serie di circostanze, e mi trovavo in alta montagna, con poche possibilità di scendere a valle. Già questa era una coincidenza alquanto strana. Ma andiamo avanti. L’anziano proprietario era un signore molto simpatico. Il negozio era piuttosto piccolo, e dopo le solite due chiacchiere, diedi un’occhiata alle vetrine. Ci credete che ho trovato il bracciale che avevo disegnato? Non l'ho comprato, comunque. Non avevo soldi con me e ho pensato che, tutto sommato, potevo anche lasciar stare. Il giorno dopo avevo cambiato idea, ma quando mi sono presentata lì il bracciale era già stato venduto.

Capite cosa voglio dire? In pratica, quello che vogliamo lo otteniamo, se lo vogliamo veramente. E certe cose le ottieni in una maniera che ha del miracoloso. Ma non pensate che viva la mia vita così. Anzi, praticamente qui si fermano i miei “miracoli”. Dopo questi, non me ne sono capitati di così eclatanti.

Certo, la mia filosofia di vita è sempre quella, cioè, quello che vuoi lo ottieni. Ma non è sempre facile, anzi, tutt’altro! Nonostante questo, mi rifiutavo di pensare di essere condannata all’infelicità e al nulla cosmico.

Sono passati gli anni. Ho accumulato libri su libri, sull’argomento. La mia convinzione che la legge ci fosse era granitica, e lo è tutt’ora. Tuttavia, nulla lasciava intendere che funzionasse.

Con gli anni mi sono convinta che, realtà, “The Secret” fosse una gran belinata. Alla fine ho rivenduto metà dei libri, “The Secret” compreso, perché non li ritenevo abbastanza validi. Ogni tanto mi piace rivedermi il film, nonostante tutto mi mette ottimismo addosso. Ma sapevo che non era sufficiente. Anche perché non posso accettare l’idea di trattare l’Universo, o Dio, o comunque vogliate chiamarlo, come un immenso Amazon a cui fare ordinazioni ed eventualmente protestare quando non ottieni ciò che vuoi. Sarò esagerata, ma lo trovo addirittura poco etico. Insomma, alla fine non è giusto comportarci da bimbetti viziati.

I segnali comunque c’erano. Sono uscita dal mio guscio di depressione e sono andata a cercare un lavoro in ambito turistico. L’ho trovato nel giro di pochissimo. Ogni volta che avevo bisogno di lavorare, trovavo. Quindi, sicuro come la morte che qualcosa che ci aiuta c’è.

Ma, altro smacco. Sì, ho trovato lavoro. Poi ho dovuto cambiare settore, ma comunque sono in un’azienda da un anno. Non è una cosa da poco. Tuttavia la mia depressione non mi ha lasciato. Ho notato che continuavo a leggere ossessivamente i pochi libri sulla legge dell’attrazione che mi erano rimasti. Lo facevo, lo faccio, solo quando mi sento particolarmente sola e senza speranze. Che cosa stava succedendo?

Inizialmente è stata dura. Vivevo in bilico tra la razionalità e il bisogno viscerale di credere alla “magia”. Non fraintendetemi, non mi sentirete mai urlare “Stupeficium” con una bacchetta in mano. Né mi vedrete fare rituali d’amore o anti-malocchio. Ma prima di questi anni così difficili, per me la vita era completamente differente. Quello che volevo ero più disposta a ottenerlo. E anche se avevo comunque i miei problemi come tutti, non mi pesavano poi tanto. Vivevo in un’atmosfera che sembrava magica. Per me era quella, la magia della vita. La felicità.

Razionalmente parlando, sono stata presa da quella che, banalmente, viene chiamata paura di crescere. Avevo passato degli eventi che mi avevano spaventata non poco. La mia vita ha subìto una gravissima battuta d’arresto.

Ora, non si può dire che sia tutta rose e fiori, attualmente. Ma va meglio. Ho preso alcune decisioni che, almeno per me, sono state enormi. Ho finalmente deciso di seguire i miei sogni, quelli che mi portavo dietro da quando ero piccola, non quelli inculcatimi da altri. Ho deciso di cominciare danza orientale, dopo dodici anni passati a rimandare. Sto provando a dare un seguito al mio desiderio di scrivere (da qui è nato questo blog).

Ma non bastava. Così ho cominciato una piccola psicoterapia, per affrontare i miei problemi una volta per tutte.

E tuttavia, qualcosa continuava a non quadrare. Come mai non mi sentivo ancora come volevo io?

Mentre acquisivo sicurezza in me stessa in certi ambiti, altri sembravano crollare sotto i miei piedi.

Sia chiaro a tutti, non è affatto una critica alla psicoterapia. Anzi, mi sta dando un aiuto estremamente prezioso e intendo continuarla finché sarà necessario. Ma volevo qualcosa di più. Finalmente mi sono ritrovata una risposta tra le mani. Uno dei libri che ho tenuto è “Expect Miracles”, di Joe Vitale.

Joe Vitale è l'unico autore di filosofie New Age per cui ho mantenuto una discreta stima (non totale, ci sono comunque cose su di lui che mi lasciano perplessa). Ho dato via solo un suo libro, “The Key”. Gli altri li ho tenuti tutti. E in tutti i suoi libri, da “The Key” in poi, parla di un metodo sperimentato da un certo dott. Hew Len, un medico hawaiano che, sembra, ha guarito i pazienti di un manicomio criminale, senza mai incontrarli di persona.

Ammetto che l'omino nel mio cervello ha tirato un'inchiodata potente, quando ho letto questa cosa. E ammetto ancora, non sono così sicura che sia vera. Dopotutto, le uniche testimonianze che ho trovato a riguardo sono quelle che il dottore ha riferito a poche persone. Anzi, praticamente l’unica fonte è Joe Vitale. Nessun altro si è fatto avanti per confermare la storia. Quindi, permettetemi un po’ di scetticismo. Ma la cosa comunque mi ha incuriosito, così ho cercato di capire in cosa consistesse questo metodo “miracoloso”.

In pratica, secondo il dott. Hew Len, siamo responsabili al 100% di quello che succede nella nostra vita. Non è un concetto facile da accettare, anche perché spesso confondiamo la responsabilità con la colpa. Non è esattamente così. È logico che, se qualcuno ci fa del male, la colpa è sua. Ma, a quanto sembra, una parte di noi, molto profonda, ci ha fatto vivere quell'esperienza per insegnarci qualcosa. Il più delle volte è per aiutarci a superare certe convinzioni.

Il metodo del dottor Hew Len consiste, in pratica, nel ripulirsi prima da queste convinzioni.

C’è sempre un MA in agguato, comunque. Innanzitutto, il libro da cui l’ho letto era un’enorme strategia di marketing. Sotto al marketing, c’è spesso il rischio di trovare solo fuffa allo stato puro. Era pieno di testimonianze su come questo metodo ha cambiato la vita di tutti quelli che l’hanno provato. Potrebbe sembrare un bene, MA, ammettiamolo, non è propriamente così, soprattutto se le testimonianze sono fuorvianti. Alla fine non spiegavano esattamente cosa succedeva applicando questo metodo.

In tutti i libri che ho letto in cui parlano di questo metodo dicevano di recitare un mantra:

“Mi dispiace. Ti prego, perdonami. Grazie. Ti amo.”

Mh. Ok. L’ho provato. Eccome se l’ho provato. Ma non funzionava. Le cose non sono cambiate. Anzi! Accantonato un altro sistema. Per un po’, almeno.

Fino a quando non ho capito cosa Joe Vitale intendesse. E qui ho anche capito che, ammettiamolo, per quanto parli di cose interessanti nei suoi libri, è stato parecchio sleale. “Sì, ti do la formuletta magica, recitala e vedrai che miracolo!”. No. Non funziona così.

Quindi, a questo punto, è diventato quasi ovvio. Quel mantra non funziona se recitato come uno svogliato rosario durante il mese di maggio. E, soprattutto, se viene fatto con l’intenzione di cambiare le cose fuori da voi. La spiegazione è molto più banale. Se abbiamo un problema sul lavoro, in famiglia, con gli amici, economico, dicendo queste parole non è affatto detto che la situazione cambi. Il vostro titolare non sarà più gentile perché avete recitato la formuletta magica. Non vi aumenteranno i soldi in conto come per magia. Sembrerà logico, ma alla fine, se ho bisogno di scrivere questa cosa, è perché non è così scontato. Vedo tante persone che intraprendono strade spirituali particolari perché convinte profondamente che queste cambieranno la loro vita in un batter d’occhio. Spero di non offendere nessuno, dicendo che sono degli illusi. E spero di farmi perdonare dicendo che, tutto sommato, sono così anch’io.

Ho provato questo metodo su di me per esasperazione, perché non ce la facevo più a svegliarmi con i pensieri ossessivi dei miei problemi, pensando che mi sentivo in colpa perché, ed è la pura verità, alla fine ne ero io la causa. Così, in un momento particolarmente cupo, ho provato a rivolgermi quelle parole come se stessi parlando con un amico a cui avevo fatto un torto. La cosa curiosa è che i riscontri sono stati immediati.

Prima di tutto ho avvertito una gran pace dentro di me. Sono riuscita a calmarmi, almeno per un po’. E quasi automaticamente le cose si sono adattate di conseguenza. Ad un’esibizione di danza ho sbagliato gran parte dei passi, ma sono comunque riuscita a non fermarmi, come avrei fatto anche solo due mesi fa, e ad andare avanti fino alla fine. E alcune persone che mi avevano già vista danzare mi hanno garantito che comunque i miei sbagli non davano fastidio, pur essendo scoordinata con le mie compagne (stiamo parlando di danza orientale, comunque. È sempre brutto vedere una coreografia di gruppo scoordinata, ma se non altro si è meno severi nei confronti di chi pratica questa disciplina).

Altra cosa che mi ha lasciato sorpresa è stato un netto miglioramento nei miei rapporti di lavoro con una persona che prima mi metteva in serie difficoltà.

Sono anche riuscita ad affrontare alcune mie paure che mi stavano paralizzando. Con la mente più tranquilla, sono riuscita ad agire. Non so quale sarà l’esito di queste mie azioni, le possibilità che le cose vadano a scatafascio esistono, ma la sensazione di libertà che ho guadagnato è impagabile!

Non è magia, gente. Semplicemente, quando abbiamo la mente rilassata, gli altri se ne accorgono e si approcciano a noi in modo differente. Così come la nostra mente escogita soluzioni ai nostri problemi che prima non vedevamo. Se siamo agitati per un qualsiasi motivo e ci portiamo dietro questa agitazione, è normale che chi si avvicina a noi sarà nervoso e ci tratterà male.

Quando recitate questo mantra, se lo fate in maniera sentita, in pratica vi state dando attenzione. Magari era proprio quella che vi mancava e, di conseguenza, vi rendeva scontenti.

Perché ho scritto questo post? Beh, due ragioni.

Primo, so che tante persone si sono avvicinate alla legge di attrazione e sono rimaste scottate. Faccio parte della categoria, dopotutto. Volevo semplicemente dare un punto di vista differente, che magari desse un po’ di speranza in più.

Il secondo motivo è la mia poca costanza. Volevo fare questo piccolo esperimento: provare per un mese di fila questo metodo. E vedere cosa succede realmente quando lo si applica. E se scrivo un post a riguardo, sarà più probabile che mantenga la mia promessa. Anche perché intendo scriverne un altro, fra un mese circa, sugli effetti di questa tecnica, e sulle conclusioni che ne ho tratto.

Allora, appuntamento a fra un mese?

PS: è doveroso specificare che nel frattempo il blog andrà avanti come sempre. Scriverò comunque (impegni permettendo) post su castelli e ville, fantasmi e leggende varie. E Jessica andrà avanti a scrivere sul paganesimo (parentesi come sopra). Questo è solo un esperimento a parte.

Besos a todos!

Vi racconto del mio weekend in montagna...

… anche se, in realtà, non si è trattato propriamente un week-end! Sono partita di domenica e sono tornata di martedì.

Tranquilli, cercherò di non mettere troppe riflessioni personali, in questo post. E alla fine vi racconterò non una, bensì due leggende! Quindi, cominciamo!


Innanzitutto, mi scuso per il silenzio stampa delle ultime settimane. Devo ammettere che la mia voglia di scrivere era pressoché nulla. Niente di che, semplicemente avevo bisogno di ferie e, una volta cominciate, ho preferito godermele tutte senza pensare troppo anche agli impegni che avevo e che mi ero presa. Credo sia capitato a tutti un periodo così: tante cose da fare, tante persone da seguire (parenti, amici, fidanzati vari... non fraintendetemi, ne ho solo uno, di fidanzato, parlavo in generale!), progetti, lavoro, stress. Alla fine non sapevo più a che santo votarmi!

Così ho preso il toro per le corna e ho deciso di godermi due giorni in cui stare da sola con me stessa. Solo io e basta. E, se devo dirvi la verità, se vi capita un'occasione del genere, coglietela al volo!

La mia meta è stata la Val di Sole, posto in cui ho lavorato per un po' di mesi, qualche anno fa. Per me quella zona vuol dire molto, devo ammetterlo. Bella, tranquilla, e inoltre, quando ci lavoravo, non facevo altro che respirare libertà, lì. Dopotutto, facevo stagioni! L'unica cosa di cui mi sono sempre un po' pentita, è di non averla girata e vissuta come meritava. Sì, facevo delle passeggiate, ma tutto sommato non l'ho visitata per bene. Per esempio, non ho mai visto la rocca di Samoclevo, le cascate del Saent, Castel San Michele. Non mi sono mai cacciata in testa di visitare la vicina Val di Non come si deve, con Castel Clés e Castel Thun. Quindi, mi ero organizzata per benino quei due giorni. Giorno di arrivo: Castel Thun, arrivo in albergo, pranzo, rocca di Samoclevo, cena, letto. Secondo giorno: cascate del Saent, pranzo, lago dei Caprioli più eventuali altri giretti, cena, letto. Terzo giorno: check-out, passeggiata per visitare il monastero di San Romedio, ritorno a casa.

Inutile dire che non ho fatto un accidenti di queste cose.

Castel Thun l'ho saltato a piè pari. La mia idea era di parcheggiare vicino al castello e visitarlo in tutta tranquillità. Purtroppo era domenica, il parcheggio era stracolmo, bisognava parcheggiare in paese e prendere la navetta. Sinceramente, mi piacciono i castelli, ma quella manfrina non avevo proprio voglia di sorbirmela. Così sono arrivata in albergo, per poi andare a pranzare in un bar vicino a dove lavoravo. Mentre tornavo indietro, è arrivato il maltempo. Ovvio. Era stato bello fino al giorno prima, figurarsi se non peggiorava proprio quando ero lì io!

In realtà, non pensavo di farmi fermare da quattro gocce, avevo felpe e k-way con me, ma avevo fatto i conti senza l'oste! Insomma, ho sempre ritenuto che la meteoropatia fosse solo suggestione. Mi sono dovuta ricredere. Particolarmente in montagna, se non si è abituati, la bassa pressione si fa sentire, e molto di prepotenza! Per un'ora ho girato in macchina come un'anima in pena, agitata come non mai, e con un mal di testa che non augurerei a nessuno, a tratti vedevo persino le cose sfocate. Poi sono rientrata in albergo e lì mi sono dovuta stendere. Ho dormito per circa un'ora e mezza. Ormai la giornata era andata, così sono andata a Malé a fare un giretto.

Il giorno dopo il tempo faceva altrettanto schifo, così ho passato la mattinata dai miei ex titolari. Stavo rientrando in albergo, quando ho deciso che non mi andava minimamente di passare un altro pomeriggio chiusa tra quattro muri, così sono andata a Samoclevo. Non sono neanche passata in albergo a cambiarmi, avevo una maglietta e dei jeans neri. E sono andata esattamente vestita così com'ero. Un po' una sciocchezza, ma, stando ai siti internet, la strada delle piscine cruente era un sentiero semplice, ci si impiegava mezz'ora a raggiungere la rocca. Dopo un'ora e mezza, in cui pioveva e spioveva a ciclo continuo, stavo ancora arrancando per salire, persa in mezzo ai boschi. Non sono mai stata una persona particolarmente atletica, solo nell'ultimo anno ho cominciato ad apprezzare il movimento. Questo implica che, mentre prima, fra passeggiata e divano, avrei scelto divano, adesso sceglierei una via di mezzo: passeggiata breve e poi divano. Tutto sommato, però, avevo (ho!) un buon passo, quindi mi sembrava strano non essere ancora in vista della rocca!

Le cose erano due: o i siti internet che avevo consultato dicevano un sacco di cavolate, o avevo sbagliato strada. Così, dopo un po' - quando mi sono accorta di essere bagnata come un pulcino e talmente stufa da essermi profondamente convinta che il Gròstol mi sarebbe apparso in tutta la sua ferocia - mi sono arresa e sono tornata indietro. Non l'avrei mai fatto se fossi stata vestita in modo appropriato per un'escursione, sia chiaro, ma in quel caso decisamente era meglio lasciar perdere. Così sono tornata in hotel. Ma, tornando indietro, mi sono persa con l'auto, e mi sono ritrovata in un meleto. Mentre mi giravo (e imprecavo) per tornare indietro e riprendere la strada principale, ho visto la rocca! Ecco a voi la foto:



Suggestivo, no? Anche quando pensi che sta andando tutto male, in un modo o nell'altro il tuo scopo lo raggiungi, anche se, magari, non come avresti voluto. Insomma, volevo vedere la rocca, no?


Quella sera, ho fatto una passeggiata per Mezzana e sono andata a cena. Tornando in albergo ho guardato il panorama.



Ho intravisto, nell'aria cristallina, un posto che avevo provato a visitare anni fa, ma era chiuso per restauro: Castel San Michele, a Ossana. Le luci erano accese, era illuminato come mai l'avevo visto.

Era l'ultima sera, e, nonostante il maltempo, mi sembrava un crimine chiudermi in albergo. Così ho preso la macchina e ho percorso la strada che mi separava dal castello. In realtà, essendo le nove di sera, non ero così sicura che sarebbe stato aperto, ma, forse, un paio di foto che non includessero delle impalcature sarei riuscita a farle. Con mia sorpresa, invece, era aperto. Almeno, i cortili erano accessibili (era in corso una serata dedicata agli scultori del legno), il mastio invece era chiuso. Così sono entrata, cercando anche un po' di informazioni su quel posto che tanto mi affascinava.



Non si hanno notizie precise della fortezza. Fu costruita su uno sperone di roccia, in modo da avere la massima visibilità sulla Val di Sole e sulla Val di Peio (parola mia, entrambe le valli si vedevano davvero bene, nonostante il buio e il maltempo!). Pare che la struttura fosse presente all'epoca dei longobardi, anche se le prime notizie scritte risalgono a molto più tardi, intorno all'anno 1190. Inizialmente il castello era proprietà della diocesi di Trento, poi, nel corso dei secoli, è passato a parecchie famiglie. Diciamo pure che la storia è sempre la stessa, più o meno, per tutti i castelli. Antichi, maestosi, costruiti su punti strategici, passano di famiglia in famiglia nel corso dei secoli, diventano musei (magari anche abitati, ma comunque visitabili), ristoranti, alberghi, oppure cadono in rovina.

Per quanto bella sia la storia, la leggenda e il mistero sono quelli che danno vita alle cose, spingono a voler scoprire qualcosa di più. Ormai è risaputo che amo questo genere di cose. Non esisterebbe questo blog, altrimenti.

Così, eccoci qua al punto clou del post.

Entrambe le leggende che sto per raccontarvi parlano della famiglia de Federici, proprietaria del castello dal 1412 al sec. XVI.

Dovete sapere che la famiglia de Federici era una famiglia lombarda alquanto potente. All'epoca, chiunque avrebbe dato anche l'anima pur di sposare un erede di quella famiglia. Un bel giorno arrivò una principessa ben decisa a sposare il figlio di Giacomo de Federici. Il matrimonio era combinato, ma la bella fanciulla non volle attendere il giorno delle nozze per vedere le immense ricchezze della famiglia. Così entrò nella sala del tesoro, ma c'era così tanto oro che riluceva, che la ragazza ne venne accecata! Questa fu la sua punizione per la sua avidità.

Però, sapete, io sono convinta di una cosa: il simile attrae il proprio simile (a rileggerla non ha proprio senso, questa frase, almeno grammaticalmente parlando!).

Pare che neanche il figlio di Giacomo fosse tutto questo gran stinco di santo. Molto arrogante, non perdeva occasione di mostrare la sua superiorità (molto probabilmente era molto più che arrogante. Quasi sicuramente era molto crudele). I popolani erano talmente stufi di lui che gli tesero una trappola. Scavarono una buca in cui il ragazzo, di ritorno da una battuta di caccia, cadde con tutto il cavallo. Dopodiché, venne preso a sassate e seppellito con la povera bestia dai popolani esasperati.

Della serie, severi ma giusti!


Così concludo questo post.

Spero che lo abbiate gradito! Alla prossima!


Angela

sabato 18 luglio 2015

La mia festa del raccolto

Non mi aspettavate così presto, vero?
Come vedete dal titolo, questo non sarà il solito post divulgativo o pieno zeppo di mie considerazioni sul paganesimo... Sarà in un certo senso più classico, visto che parla di uno degli otto Sabba, il prossimo che festeggeremo.
Vorrei però anche parlarvi di cosa farò io di preciso, e quindi aggiungere a questa rubrica un po' della mia esperienza personale.
Intanto partiamo col dire che Lughnasadh o Lammas, la prima delle tre feste del raccolto, è una festa che celebra la vita, il sole, il calore... e quindi quanto la bella stagione ha portato. Il nome Lammas deriva da Loaf-Mass che significa "festa del pane", mentre invece in ambito celtico Lughnasadh significa "Le nozze di Lug". Lug è la divinità celtica che presiede a tutte le arti, paragonato agli dei romani Apollo e Mercurio. Come capirete anche voi, questo era un giorno particolarmente propizio per sposarsi, in quanto la nuova coppia avrebbe simbolicamente portato nella propria vita coniugale il calore e l'abbondanza tipiche di questa festa.



A chi obietta che queste feste celtiche non dovrebbero essere festeggiate in Italia, ricordo che i Celti erano una presenza importante nel Nord Italia e che si sono poi integrati con i Romani. Inoltre, sul suolo italico durante tutto l'arco del mese di Agosto si tenevano delle festività importanti per ringraziare la divinità del grano del raccolto ricevuto, e propiziare invece la futura vendemmia: parlo dei Consualia e dei Vinalia.



Come vedete quindi, nelle culture europee e mediterranee  c'è una certa affinità di "significati" anche se non di divinità.
Questa festività è gioiosa, ma non è il momento per abbandonarsi all'allegria e alla frenesia come nei due Sabba precedenti.
Arrivati a questo punto della ruota, è importante meditare e ringraziare su quanto si è ricevuto in quest'anno. Riflettete sul vostro raccolto personale (emotivo, spirituale, lavorativo, familiare ecc) e se questo dovesse mancare, beh... è il momento di riflettere sul cammino che avete intrapreso, cosa potete fare per portare la felicità nella vostra vita e visualizzare dove vorrete essere l'anno prossimo.
Io mediterò su ciò che gli Dei hanno portato nella mia vita quest'anno, e devo dire che hanno fatto veramente tanto per me. Oltre al fatto di avere finalmente dato un'impronta al mio sentiero spirituale, sto per concludere una terapia che porto avanti da 3 anni, e che comunque sarà un nuovo punto d'inizio.
Per non parlare del fatto che ho scoperto la danza, e quanto mi fa stare bene!!
Renderò simbolicamente alla terra il nutrimento e la vita che lei mi ha donato, offrendole latte e miele e sì, pregherò e mediterò perché anche nel prossimo giro di ruota la mia vita continui in felicità.
Altra cosa: mi piacerebbe puntare la vostra attenzione sul fatto che la prossima luna piena cadrà in concomitanza con la festa del raccolto, alias la notte del 31 luglio.
Le energie sono quindi particolarmente propizie per attirare nella nostra vita qualcosa che desideriamo molto, in particolar modo fortuna e guadagno.
Si possono preparare dei talismani con le erbe che abbiamo raccolto durante il Solstizio, oppure provare a dipingere la nostra vita come la vorremmo... tutto ciò che si crea con le nostre mani può essere trasformato in un talismano, quindi non solo qualcosa per scacciare la negatività, ma anche attirare ciò che si desidera di più.
Immaginiamo che il vostro colore preferito sia il rosso, e voi vogliate portare amore nella vostra vita.
Vi fermate in un negozio d'arte e prendete una piccola tela... su cui poi dipingerete un cuore nel modo che più piace a voi, immaginando in che modo l'amore potrebbe entrare nella vostra vita (più armonia in famiglia, più sintonia col partner, un nuovo incontro, nuove amicizie... ci sono tante cose belle che si possono immaginare).
Ecco fatto, avete preparato un piccolo talismano, oltre che una gioia per gli occhi! Immaginate avere in ufficio o in cucina o in camera da letto questo quadretto fatto da voi, che ogni giorno vi ricorda cosa desiderate, dove volete arrivare, e che vi sostiene...
La magia non è un "puf!" appare una scodella, ma un cambiamento costante che viene dentro di noi... e, male che vada, vi sarete divertite un'ora a creare il vostro quadro, no?
Per me questa sarà una festa speciale perché potrò inaugurare l'oleolito di menta che ho preparato al Solstizio d'Estate. Quello di iperico è invece andato a farsi benedire, ma vabbè...
La menta è un'erba davvero benefica per il nostro organismo: ha proprietà cicatrizzanti e disinfettanti, oltre che essere conosciuta per le sue proprietà digestive.



Parlando della menta in campo magico invece, posso riportare che è un'eccellente rinvigorente e stimola la concentrazione, l'attenzione e amplifica le nostre potenzialità psichiche.
Grazie alla menta sono riuscita per la prima volta a vedere la mia aura.
Sì, voi direte che sto farneticando, ma attenzione: non sto parlando di bere una tisana alla menta così perché mi va e poi "puf" di colpo mi sono vista allo specchio contornata da un alone!
Prima di tutto bisogna capire quest'erba. L'ho annusata, l'ho assaggiata, l'ho studiata, l'ho ascoltata. Sì, per la prima volta nella mia vita ho ascoltato cos'aveva da dire a me quell'erba, e l'ho sentita. Ho pensato "tanto vale provare".
Ho bevuto una tisana e poi, prima di andare a letto mi sono messa a fare ricerche, a scrivere un po' per rilassarmi. Beh, mi sono rilassata talmente tanto che d'improvviso mi sono accorta, mentre scrivevo, che il pollice con cui tenevo il quaderno aveva un contorno luminoso e colorato!
Sono riuscita a vederla per qualche secondo, ma l'ho vista.
Devo dire che mi sono definitivamente convinta!
E voi? Qual è l'erba che preferite? Come festeggerete Lughnasadh?

Buon raccolto a tutti!!


lunedì 13 luglio 2015

Castel Beseno

Ecco che si ritorna ad argomenti un po' più leggeri! Spero comunque che abbiate letto questo post e abbiate seguito il mio suggerimento. È una cosa a cui tengo molto. Mi raccomando!


Dunque, come vi ho già accennato qui, credo profondamente nel fare post su posti in cui sono stata. Sono convinta che il post venga molto meglio, riportando la propria esperienza personale.

Quindi, eccoci qua!

Oggi, come da titolo, si parlerà di Castel Beseno, che io e la mia socia (Jessica, che si occupa di questi argomenti) abbiamo visitato con i nostri amici.


Per chi non lo sa, il castello si trova in Trentino, a circa 20 minuti di macchina da Trento. Il castello è molto grande, uno dei più grandi che io abbia mai visto. In effetti, è il più grande complesso medievale di tutto il Trentino, con i suoi 16mila metri quadri. A vederlo fa davvero impressione, la sua struttura è davvero imponente. Personalmente, non faccio fatica a credere che abbia resistito a un assedio di sette anni, per quanto leggendario!

Ma andiamo con ordine.

Va da sé che vi consiglio caldamente di visitarlo, magari in un periodo dell'anno un po' più consono rispetto al mese di luglio. Qui il sito, con gli orari. Si fa fatica a crederlo, considerando che la zona è in mezzo ai monti, ma fidatevi quando vi dico che fa parecchio caldo. Certo, per me e i miei amici era anche relativamente sopportabile, visto che in pianura si scoppiava, tuttavia, se potete, andateci a primavera o in autunno.

Questo castello è molto interessante da visitare. È un museo tutto particolare, non ha l'arredamento tipico del castello medievale, ma ospita una collezione di armi e armature. Certo, se siete in cerca di una collezione più corposa, allora vi conviene andare a Castel Cini, also known as castello di Monselice. Tuttavia, sono sicura che questa collezione in particolare potrebbe piacere agli appassionati, visto che viene data la possibilità di provare le armature e un po' di armi!


Jessica e io abbiamo provato anche le balestre! E ce la siamo cavata benone, c'è da dirlo!


Ma è meglio tornare all'argomento che ci interessa di più: la leggenda di Castel Beseno!

Contrariamente al solito, questa leggenda non parla di fantasmi, ma di una strategia talmente astuta da avere dell'incredibile.

Dunque, anni e anni or sono, Castel Beseno subì un pesante attacco. Rimase, come vi ho già detto, sotto assedio per ben sette anni! Tutti i sudditi, per scampare ai saccheggi, si erano rifugiati all'interno delle cinte murarie del castello. Per quanto grande sia la struttura, c'è da dire che non doveva essere una situazione molto simpatica.

Dopo sette lunghi anni passati a difendersi dagli assalti dei nemici, gli abitanti di Castel Beseno erano allo stremo delle forze. Il re era disperato. Le bocche da sfamare erano tante, le scorte di cibo stavano finendo, restavano solo una mucca e un sacco di grano, decisamente insufficienti a sfamare la moltitudine di gente dentro al castello. Il sovrano aveva chiesto a tutti i saggi una soluzione che togliesse tutti da quell'impiccio senza dichiarare la sconfitta. Nessuno aveva saputo dargli una soluzione soddisfacente.

Un bel giorno, il castellano fece una passeggiata nel cortile del maniero. E, in un angolo, intravide una vecchietta che sonnecchiava. Lì per lì non la riconobbe neppure. Poi si rese conto che la vecchietta altri non era che una mercante conosciuta in passato per la sua proverbiale astuzia. Pensò quindi che, forse, un altro punto di vista sulla questione non gli avrebbe fatto male. Così le si avvicinò, chiedendole consiglio. Come potevano uscire da quel disastro? Ovviamente, la mercante sarebbe stata ricompensata!

La vecchia lo guardò, infastidita dal fatto che quell'omuncolo l'avesse disturbata. Poi sbottò “Dai da mangiare il grano alla mucca. Una volta fatto questo, macellala e butta la carcassa giù dalle mura.”

Il castellano si infuriò non poco. Che razza di consiglio era mai quello?

Gli ci volle un po' per sbollire la sua ira. Poi cominciò a riflettere. Dopotutto, cosa aveva da perdere? Quella mucca non era comunque sufficiente a sfamare tutti quanti, avrebbe causato in ogni caso dei seri problemi tra gli abitanti del castello. E se l'avessero macellata e gettata dalle mura forse... forse...

Poche ore dopo, gli avversari di Castel Beseno videro gli assediati gettare qualcosa dalle mura. Si avvicinarono cautamente, temendo una trappola. Quando videro la mucca morta, rimasero basiti. Ma che stava passando per la testa di quelli del castello? Buttare via così una mucca? Che fosse avvelenata? Ma perché sprecare della carne di mucca in questo modo? Cosa speravano di ottenere?

A quel punto, dovevano capire cosa stava succedendo. Così si avvicinarono alla carcassa e la aprirono. Dentro alla pancia della mucca trovarono del grano, che, a quanto sembrava, era commestibilissimo! Il loro unico pensiero, a quella visione, fu chiaro e lampante: se a Castel Beseno potevano permettersi di gettare così una mucca e dell'ottimo grano dopo sette anni di assedio, allora erano in grado di resistere ancora per parecchio! Era veramente il caso di levare le tende e lasciar perdere quell'assedio che, dopo tutti quegli anni, li stava sfibrando inutilmente.

Nel giro di poche ore, Castel Beseno fu libera dalla minaccia dell'assedio.

E la vecchietta? Nessuno la trovò più!

giovedì 9 luglio 2015

Riflessione su quanto è accaduto

Questo post sarà molto diverso dagli altri. Lo sarà davvero. Non è per introdurre un nuovo argomento e sperare di trovare qualcuno abbastanza interessato da leggerlo.

È una faccenda molto seria.

Può darsi che ci saranno errori di battitura. Ed è molto probabile che scriverò cose molto personali. Se preferite non leggerlo, tranquilli, non ve ne farò una colpa. Vi informo già, come avrete già intuito, che è un post scritto di getto, senza rifletterci troppo.


Non so chi siate e da dove veniate. Se siete veneti, probabilmente sapete cos'è successo.

In caso siate da fuori del Veneto, è altamente probabile che, grazie al silenzio delle tv nazionali, in realtà siate completamente ignari della cosa.

Ieri, nel tardo pomeriggio, una tromba d'aria di grado F2 ha colpito una parte della Riviera del Brenta. Una zona piuttosto vicina a casa mia e dei miei cari. Il danno è stato enorme. Una villa veneta è stata completamente rasa al suolo. Altre ville hanno subito danni non da poco, alcune sono state addirittura scoperchiate come scatole da scarpe. Per non parlare dei danni a case meno antiche delle famosissime ville venete. Condomini, negozi, macchine... Il bilancio è stato di due morti e almeno una ventina di feriti.

Perché scrivere questo? Beh, per sfogarmi, principalmente. Negli ultimi mesi ho riscoperto, dopo anni, la mia passione per gli antichi edifici. Sempre avuta, per carità, ma negli ultimi tempi, particolarmente da quando ho aperto questo blog, è diventata più definita. Ormai guardo un antico edificio e tutto quello che riesco a chiedermi è “chissà qual è la storia di questo posto? Chissà chi ci viveva? Se questo edificio potesse parlare, cosa mi racconterebbe?”. Ci sono dei momenti in cui addirittura vorrei conoscere chi ha costruito l'edificio, o anche chi l'ha fatto costruire, sapere la loro storia, perché hanno fatto quello che hanno fatto, come se fosse ancora possibile, come se potessi chiamarli e invitarli a bere un caffè... aggiungiamo poi la curiosità che mi viene quando mi chiedo di tutti i misteri che possono nascondersi dietro a certe mura maestose, e capirete, almeno in parte, chi c'è dietro allo schermo del vostro pc, mentre leggete i post di questo piccolo blog. Più vado avanti a osservare e a scrivere, più mi accorgo di quanto ami davvero queste cose.

Potete quindi capire la mia amarezza, nel vedere una zona a cui sono molto affezionata (ci ho lavorato, per un breve periodo, come ho scritto in uno dei miei primi post) così devastata. E sapere che una catastrofe simile è stata trattata come una sciocchezza dalle tv nazionali. Credo che addirittura l'abbiano definito un “rinfrescante temporale estivo”. Spero di no, ma non posso esserne sicura, è da tanto che non seguo un telegiornale.

Non è stata una sciocchezza, no. È un'area che, negli ultimi anni, era stata lasciata un po' a sé stessa. Per quanto tutelata dallo Stato, non era più una zona di spicco da visitare, come lo era una volta. Come tante aree di interesse storico-culturale in Italia, del resto.

La mia amarezza nasce proprio da questo. L'area è abbandonata a sé stessa. E dubito molto che verrà ricordata da chi di dovere. Sia chiaro, non mi sentirete dire “governo ladro, Roma ladrona, Veneto indipendente”. Trovo che queste frasi siano assurde, senza senso in condizioni normali, assolutamente fuori luogo in un contesto simile.

Ma è innegabile che ormai, in questa nostra Italia così maltrattata, la nostra storia sia sempre meno importante.

Ed ecco il motivo per cui ho scritto questo post. Spero di sensibilizzare un po' le persone, su questo argomento. E magari di diffondere la notizia anch'io, nel mio piccolo.


Avrete notato che questo post non ha foto. Anche se ne ho, scattate da me personalmente, non intendo pubblicarle. Mi sembra di avere già ceduto abbastanza al mio lato iena quando oggi, in un impeto di curiosità morbosa, sono andata a vedere. Ero curiosa di sapere come era preso l'hotel in cui lavoravo. La scena è stata più che sufficiente a farmi desiderare di non averlo fatto. Vi basti pensare che non l'ho neanche riconosciuto. Fortunatamente, clienti e proprietari erano incolumi.

Se volete vedere immagini, cercate su Facebook o su Google, ne troverete a iosa.


Quindi, eccomi qua. A concludere questo post con la richiesta di un piccolo favore personale: condividete questo post il più possibile.


Buona serata a tutti.

lunedì 6 luglio 2015

Ocio aea striga - Stregoneria in Veneto



Da quando Gardner ha aperto la strada alla rinascita dei culti cosiddetti “pagani” o per meglio dire “politeisti”, si sono sviluppate tutta una serie di correnti sia all’interno della Wicca che non.
Il presupposto da cui sono partiti Leland e Gardner per far rivivere il culto degli Dei, e della Dea in particolar modo, era la sopravvivenza in Italia e in Inghilterra di alcuni ceppi delle antiche religioni.
Aggiungo solo un paio di considerazioni prima di passare all’approfondimento di oggi, che riguarda la tradizione veneta.
A parte le correnti pagane ricostruzioniste e la stregheria italiana, ho notato che molti culti moderni non sono di fatto politeisti, ma si basano semplicemente sull’adorazione della Grande Madre.
Tradizione Avaloniana e Wicca Dianica[1] sono gli esempi più ovvi che posso fare, sebbene personalmente non mi convincano del tutto.
La maggior parte di questi culti al femminile nascono dall’esigenza sempre crescente delle donne di vivere la spiritualità in modo più completo… come può un unico Padre onnipotente capire nel profondo una donna? Perché il Dio biblico avrebbe creato la donna da una costola dell’uomo, per donarle poi il potere di portare dentro di sé la vita? Chi ha intrapreso il percorso del paganesimo, chi ha sentito l’esigenza di mettersi “alla ricerca”, sa di cosa parlo.
Perfino nel Cristianesimo, le donne da secoli nelle loro preghiere si rivolgono prevalentemente a Maria, madre di Cristo, rispetto a Gesù e a Dio stesso.
Questa piccola premessa perché?
Durante la mia ricerca, ho pensato spesso alle donne vissute nel Medioevo e durante il periodo dell’Inquisizione… forse anche loro sentivano l’esigenza di venerare una figura femminile… una Dea che le potesse capire, che ridesse loro il rispetto e il potere che avevano perduto.
E forse pregavano Maria, e forse quella che viene chiamata “magia” in realtà era soltanto la conoscenza delle erbe, o un tentativo di controllare quei momenti della vita in cui ogni decisione era loro negata dagli uomini… credo che le donne nei secoli abbiano sempre cercato di ridiventare soltanto donne.
Al di là di questo, non posso sapere con assoluta certezza se effettivamente il culto della Dea sia sopravvissuto intatto attraverso i secoli, ma è certo che molti usi delle antiche religioni sono giunti fino a noi. Tanto per fare un esempio, soprattutto nel Sud Italia, ci sono molte pratiche “scaramantiche”, “divinatorie”, “magiche” che fanno appello a Santi Cristiani… pensate un po’! A me sembrano solo pratiche pagane “legalizzate".
E tutta questa pappardella era la premessa nr. 1
La premessa nr. 2 consiste semplicemente nel dirvi di prendere quello che scriverò con le pinze.
Questo per il semplice fatto che, non essendo io una cosiddetta strega ereditaria (e se lo sono di certo nessuno me ne ha mai messo al corrente) tutte le informazioni che scriverò qui sono tratte da libri o da testimonianze dirette (interviste con alcune vecchiette vicine di casa e colleghe di lavoro che mi hanno riferito le usanze delle loro nonne). Detto questo, cominciamo!
La prima cosa che posso dire sulla stregoneria veneta, è che nel territorio della Repubblica Serenissima, la repressione contro le donne accusate di essere delle streghe fu certamente meno incisiva rispetto ad altre regioni d'Italia e d'Europa. Questo perché, politicamente parlando, Venezia era schierata contro il Papato.
Ragazzi, rendiamoci conto: stiamo parlando di potenza navale che, in barba al divieto imposto dal Papa di commerciare con i turchi musulmani infedeli, se ne andava a zonzo per il Mar Nero (assieme a Genova, tra l'altro) a prendere schiavi biondi da portare in Egitto. Stiamo parlando di una città di mercanti che, per aggirare questi divieti, riempivano fino all'orlo le navi di padelle che, una volta arrivate in Africa, venivano allegramente convertite in armi dagli arabi, che ringraziavano.
Capite bene quindi che, anche se l'Inquisizione raggiunse Venezia, i suoi effetti rimasero molto più contenuti, alias che la maggior parte delle torture in voga in Europa non furono applicate, e che le detenute spesso venivano rilasciate, anche se recidive!
Questo anche perché le streghe venete venivano viste più come fattucchiere benevole o al massimo contadine un po' imbroglione, ognuna con il suo campo di specializzazione: aggiustaossi, cartomanti, 'strologhe, tutt'al più esperte in qualche filtro d'amore...
Ad un primo impatto sembra quindi che nel veneziano avere a che fare con una strega fosse cosa comune o quasi, e che fosse considerata in realtà alla stregua di una guaritrice/indovina abbastanza innocua.
Tuttavia sembra che anche l'aspetto religioso di queste pratiche sopravvisse nel tempo... più nelle campagne e nelle zone montane che nell'ambiente cittadino.
Come già detto prima, non si può essere certi che ci sia stata una continuità temporale dagli antichi fino ai giorni nostri, ma certi fatti fanno salire il dubbio.
Ad esempio alcuni racconti riguardo i famosi raduni delle streghe sul monte Paderno o al passo del Tonale.



Riporto un paragrafo del libro "Le streghe" di Vanna de Angelis, molto interessante in proposito:

Una strega di nome Onesta, arrestata e processata nel 1518, confessò di essersi recata al Sabba sul Tonale a cavallo di una capra, e di avere il Diavolo per amante. Andava al Tonale due volte la settimana: imparò dal Diavolo a scatenare tempeste, ma si rifiutò di rivelare il segreto del maleficio.
Furono bruciate 80 streghe, ma pare che il Tonale continuasse ad attirare i frequentatori: pare che il sabba fosse una festa favolosa e le prestazioni dei diavoli straordinarie. Insomma, come dichiarò una delle condannate "Il Tonale per noi è il Paradiso"

... Alla faccia!
Insomma, sembra che i luoghi stregoneschi attirassero molti libertini, se vogliamo pensare in modo razionale... guardando la medaglia da un punto di vista religioso, tutti i riferimenti alle capre e le orge fanno pensare al culto Dionisiaco. 
Non dobbiamo dimenticare che tutti i culti antichi sono rimasti vivi per molto tempo, almeno fino all'undicesimo secolo. Non sarebbe del tutto una sorpresa quindi se alcuni di questi culti fossero arrivati fino a noi per vie traverse.

Come nel Sud Italia, anche in Veneto il Noce era l'albero delle streghe per eccellenza, i cui incontri si tenevano di norma il giovedì e il sabato.
Il lascito alle giovani streghe, eredi della tradizione familiare, si compiva per tradizione la notte di Natale, nella quale la nonna o la madre trasmetteva simbolicamente tutto il suo sapere alla figlia o nipote.
Non so come si svolgesse questo rito, tuttavia sono venuta a sapere delle cose piuttosto interessanti riguardo altre pratiche sopravvissute fino ai giorni nostri...
La notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, le mamme delle nostre nonne spesso si dedicavano alla cura dei defunti... con delle foto in mano dei loro cari scomparsi, accendevano candele e pregavano, ungendo le piccole "icone" con dell'olio profumato... nulla che vi ricordi in qualche modo la festa di Samhain?
Oppure, ricordate quando le nostre nonne, la notte tra il 28 e il 29 giugno, preparavano una brocca piena d'acqua per metà e ci versavano l'albume dentro, sperando al mattino di trovare la "Barca di San Pietro?"
Ecco... questo rito apparteneva alle credenze dei popoli antichi, ai nostri antenati, che nei giorni vicini al Solstizio d'Estate usavano questo sistema per trarre responsi divinatori e conoscere il proprio futuro in amore.
Altre pratiche magiche parecchio interessanti riguardano la cenere. 
Le nostre nonne credevano che le streghe si "attaccassero" agli abiti... per questo stavano molto attente quando stendevano il bucato!!!



Proteggevano la famiglia lavando i tessuti con la cenere... che oltretutto sembra abbia un potere sbiancante che al confronto il Dash impallidisce. Quindi la cenere (simbolo del focolare domestico e quindi sostanza impregnata dell' "essenza" di una famiglia) serviva a proteggere i propri cari da eventuali fatture.
Il focolare ha rappresentato quindi per molte streghe, e quelle venete non fanno eccezione, il fulcro magico e sociale dell'intera famiglia. Era luogo di creazione, di trasformazione... ogni donna era quasi un'alchimista.
Nel focolare c'era l'unione e la trasformazione dei 4 elementi.
Il fuoco acceso sotto la pentola, la terra presente nella struttura stessa del focolare, l'acqua all'interno del calderone, e i vapori aerei che s'involavano tramite il camino... la cenere che restava nel focolare era quindi pregna di un'energia particolarissima e potente, che rappresentava allo stesso tempo la famiglia, gli antenati, la fortuna, la ricchezza... era usata per guarire e pulire e bandire le energie negative.



Io credo che un po' di quest'antica sapienza ci sia stata trasmessa nel sangue dalle nostre antenate, consapevolmente o meno... non ne saremo mai certi, questo no, ma leggendo e studiando non posso fare a meno di crederlo possibile.
E voi? La fede e la magia nascono da piccole cose... se impariamo a portarle nella nostra vita, forse recupereremo molta di questa saggezza addormentata in noi.

Buona settimana e a presto!

Informazioni storiche prese da:
Le streghe - Vanna de Angelis
Informazioni riguardo la cenere prese da:
Magia fra Cenere e Carbone - Antica stregoneria (ebook disponibile online, molto bello e interessante)




[1] Tradizione Avaloniana e Wicca Dianica sono due correnti neo pagane che si basano esclusivamente sull'adorazione della Dea Madre e che tratterò prossimamente.

venerdì 3 luglio 2015

Il licantropo

Sui licantropi se ne sono dette di ogni. Così come sui vampiri. Quindi, questo post e il prossimo che farò sulle creature mitologiche serviranno a rimettere un pochino in ordine le idee.

Dicevamo, il licantropo. Il termine viene dal greco, e significa “uomo lupo”. Ma, sebbene anche in Grecia si parlasse di licantropi, in realtà il mito è molto più antico. Basti pensare alla mitologia nordica. L’esempio più famoso di licantropo dell’antichità è Fenrir, figlio malvagio di Loki (non che Loki fosse uno stinco di santo!).

Le origini della licantropia (intesa come trasformazione in lupo e non malattia mentale) si perdono nelle nebbie del passato, quando l’uomo aveva cominciato ad allevare gli animali, invece di cacciarli. E chi ne pagò le conseguenze? Il lupo, visto come una minaccia dagli abitanti dei villaggi per i loro greggi. Non so come sia nata effettivamente l’idea di un uomo che si trasforma in lupo, a dirla tutta, ma è comprensibile il perché di quell’animale specifico e non di altri.

Si parla spesso di uomo lupo e licantropo come se fossero un’unica creatura. In realtà questi due termini, con il tempo, hanno finito col significare cose leggermente differenti.

L’uomo lupo è un uomo che prende parecchie caratteristiche da lupo, ma ha una forma più umana che lupesca. Non è un caso che, effettivamente, l’uomo lupo arrivi ad assomigliare ad un uomo con l’ipertricosi (crescita di folta peluria in zone dove solitamente non ce n’è, per esempio intorno agli occhi e sulla fronte)

Solitamente, invece, il licantropo ha la forma più tipica del lupo, anche se è molto più grosso e deforme.

Del lupo mannaro si dicono molte cose. Si sa, per esempio, che la trasformazione avviene nelle notti di luna piena. Ma è davvero così?

In realtà, non c’è nessun testo che faccia riferimento specificamente alla trasformazione di un uomo in lupo durante la luna piena. Non prima del Milleottocento, almeno, quando cominciarono a fiorire storie di tipo horror-gotico i cui contenuti si rifacevano ad antichi riti nordici in cui la luna piena aveva (e ha tuttora) un’importanza fondamentale. Si è cominciato a prendere per vero questo fatto dopo il film “L’uomo lupo” del 1941. Ho visto questo film quando ero piccola, non avrò avuto più di cinque anni. Mi ha fatto venire il latte alle ginocchia, al punto tale che per anni ho avuto il terrore dei lupi mannari, pur sapendo che, in realtà, non esistono! Per vent’anni mi sono rifiutata di rivederlo, fino a quando non ho preso il coraggio a quattro mani e me lo sono riguardato. Non è niente male, a dirla tutta! Capisco pienamente perché è una pietra miliare del cinema horror! Nonostante gli effetti speciali scarsi, rende bene l’ansia e la paura di Larry Talbot e dei suoi compaesani!

Tornando a noi, sapevate che, in realtà, la storia dell’argento che uccide i licantropi è una balla stratosferica? È stato proprio il film sopracitato a diffondere questa credenza, anche se, in realtà, non c’è nessuna fonte antica che citi l’argento come sistema di uccisione di un licantropo. Definiamola una sorta di inquinamento della tradizione. Infatti l’argento uccide i vampiri, spesso legati ai licantropi in quanto amici degli animali notturni. Per i licantropi si sono sempre usati altri sistemi, come l’impiccagione o il fuoco. In alcuni casi, il lupo mannaro veniva decapitato per evitare che si trasformasse in vampiro. In altri, invece, bastava ferirlo e fare uscire una quantità di sangue malato sufficiente a far passare la maledizione.

Anche la storia del contagio tramite morso è completamente campata per aria. L’unico sistema valido per diventare un licantropo è la magia nera, tramite maledizione imposta da esterni o patto col diavolo. Si può leggere un esempio al riguardo in un racconto di Alexandre Dumas figlio, “Il signore dei lupi”. Non male come racconto, se devo dirla tutta. Pone in evidenza tutte le conseguenze di un patto col diavolo e del desiderare cose che, forse, non sono poi così in sintonia con noi e la nostra natura (in realtà, nel libro si parla di volontà divina, ma credo che, a conti fatti, parlare della volontà divina e parlare della nostra natura più profonda sia la stessa cosa). Inoltre, “il signore dei lupi” mette inquietudine, senza essere eccessivamente pauroso. E cattura. Santo cielo, se cattura! Magari a qualcuno piacciono gli horror più forti, dello stile di Stephen King (eccomi!), o Richard Matheson, o Shirley Jackson, ma state pur sicuri che, leggendo “Il signore dei lupi”, rimarrete incollati alle pagine e vorrete assolutamente sapere che fine fa Thibault. Lo odierete con tutta l’anima. Lo insulterete. E poi, quando realizzerà cosa ha combinato, proverete pena per lui. E così via fino al finale.

Chiusa la parentesi letteraria.

Da quello che ho potuto vedere, non ci sono sistemi per difendersi da un licantropo. Se ve lo trovate davanti durante una notte di luna piena (alla fine, diamo per buona la storia della luna piena, per complicarci meno la vita), dovete, in pratica, pregare che non vi veda. Se vi vede, scappate. Anche se non vi servirà. Certo che, anche voi, che cavolo ci fate in giro di notte, con la luna piena alta nel cielo? Ditelo, che ve la andate a cercare!

Comunque, non preoccupatevi, non siete totalmente, completamente e innegabilmente senza speranza. Se quello che avete davanti è un lupo mannaro siciliano, avete un sistema infallibile per salvarvi la vita: le scale. A quanto pare, il lupo mannaro siciliano non è in grado di salire le scale. Il che mi fa abbastanza ridere, a essere sincera! Questo non salverà la persona sotto la bestia dalla sua maledizione, né la ucciderà, ma almeno voi avrete salvato la pelle! Certo, dovete avere la fortuna che il lupo mannaro sia siciliano e che non sia in grado di usare gli ascensori, il che riduce la speranza di salvarvi a un filo, ma se non altro è già qualcosa!

Oppure, entrate in una chiesa. Nessun testo dice che il lupo mannaro non può entrare in chiesa, ma, se si tratta di una trasformazione dovuta a un patto col diavolo, mi sembra la soluzione più logica.

Cercate solo di non fare come Hagrid (per i babbani: leggete “Harry Potter e la camera dei segreti” per capire la citazione): allevare cuccioli di licantropo sotto il letto non è esattamente un’idea brillante!

martedì 16 giugno 2015

La Contessa Sanguinaria

Buonasera a tutti!

Oggi parliamo di un personaggio che, negli ultimi anni, ha guadagnato una discreta fama. Occhio, se siete sensibili, questo post non fa per voi!

Siete pronti a conoscere la contessa Erszébet Báthory?

Personalmente, la prima volta in cui ho sentito il suo nome è stato seguendo uno dei programmi sulla falsariga di “Mistero”. Inizialmente non mi ha interessato molto, pensavo si trattasse di una delle solite stupidate per fare audience. E all’epoca non mi interessavano miti, leggende e racconti horror. Non tanto quanto ora, almeno. Poi, con il tempo, ho cominciato ad appassionarmi agli horror. Ho letto “Dracula”, di Bram Stoker. Poi ho letto quello che è stato considerato dai critici il seguito di Dracula: “Undead – gli Immortali”, scritto da Dacre Stoker (pronipote di Bram) e Ian Holt.

Piccola parentesi: per quanto il libro mi sia piaciuto, mi rifiuterò sempre di definirlo il seguito del romanzo di Stoker. La trama è interessante, c’è la giusta dose di azione e romanticismo, e alcuni punti sono stati sviluppati in maniera molto originale (il perché della morte di Lucy Westenra, per esempio). Tuttavia, ogni volta che lo riprendo in mano, penso sempre che sembra più una fan fiction, che un vero sequel. Se lo volete leggere, fatelo pure, ma se siete dei puristi di Dracula tenete conto di questo. Chiusa parentesi.

Perché nominare “Undead”? Perché l’antagonista del libro è proprio la contessa Báthory. A quel punto, la mia curiosità verso fantasmi, licantropi e vampiri si era molto acuita, così sono andata a fare qualche ricerca.

Innanzitutto, la contessa Elizabeth Bathory (scrivo il suo nome all’inglese prima di incasinarmi del tutto) era un personaggio storico.

Nacque in un villaggio della Transilvania il 5 agosto del 1560, figlia di conti magiari (leggasi: ungheresi. All’epoca la Transilvania era sotto il dominio dell’Ungheria). La piccola crebbe in un ambiente un po’ particolare. Innanzitutto, da quello che ho potuto intuire, viveva in una zona molto isolata. Per di più, i suoi genitori avevano seguito la tradizione di famiglia di sposarsi tra consanguinei. Basti pensare che erano cugini. Come chiunque saprà, sposarsi tra consanguinei non è esattamente benefico. Infatti, nella famiglia della contessa le malattie del sistema nervoso tipiche di questa questa pratica avevano trovato terreno fertile. La stessa Elizabeth manifestò segni di squilibrio sin da piccola, con sbalzi di umore terribili.

L’evento che diede il via alla follia della contessa avvenne quando aveva sei anni. Uno zingaro, che transitava presso il villaggio della contessa insieme al suo clan, aveva tentato di vendere i suoi figli ai turchi, ma venne scoperto e arrestato. Il conte Bathory fece una cosa atroce. Fece uccidere un cavallo, aprì la sua pancia e ci mise dentro il prigioniero legato, ricucendo il ventre della bestia e lasciando fuori la testa dell’uomo. Dopodiché, lo lasciò a morire di stenti sotto il sole estivo.

Passarono gli anni. A 11 anni venne promessa in sposa al conte Ferenc Nadasdy, che sposò quattro anni dopo.

Il marito non si poteva definire un uomo equilibrato, anzi. Era crudele e spietato, amava torturare i servi, senza ucciderli. Ed Elizabeth si ritrovò ad abbracciare questo stile di vita senza farsi troppi scrupoli. Come a dire: Dio li fa e poi li accoppia!

Mentre il conte Nadasdy era fuori sede a causa delle varie guerre, Elizabeth prese a far visita a una sua zia, tale contessa Karla. Che la iniziò a riti orgiastici. Fu in una di queste orge che conobbe Dorka e Thorko, una donna e il suo servo, con i quali la contessa iniziò un sodalizio infernale. Infatti, Dorka era un’esperta di magia nera che incoraggiò le già sviluppate tendenze sadiche della contessa.

Una volta rientrata al suo castello, per il territorio circostante iniziò un periodo di terrore puro. Elizabeth e Ferenc non risparmiarono nessuno dei loro poveri servi. Bastava un niente per scatenare le loro ire, e pagarne le conseguenze. Ecco qualche esempio, e dei meno crudi.

Una serva venne accusata di furto. Così Ferenc la fece ricoprire di miele e depositare vicino a delle arnie. Immaginatevi le conseguenze.

Un’altra volta, Elizabeth si convinse che altre serve l'avevano derubata. Era pieno inverno. Così, per punirle, le fece denudare, mettere in fila nel cortile sotto la neve e poi versò loro in testa dell’acqua fredda. Le poverine morirono assiderate.

Poi fu la volta di un servo. Si dice che si dichiarò ammalato, ma i suoi paranoici padroni decisero che non era vero. Non so se effettivamente quel servo fosse veramente malato o si volesse prendere una giornata di vacanza, fatto sta che venne catturato, legato, gli vennero infilati dei pezzi di carta impregnati di olio fra le dita dei piedi. Dopodiché, venne dato fuoco a quei pezzi di carta.

Ce ne sarebbero parecchie altre, da dire, ma preferisco lasciar stare.

Meglio arrivare al motivo per cui questa pazza scatenata venne soprannominata Contessa Sanguinaria (o contessa Dracula). Come se non bastassero già gli eventi elencati finora!

Si vocifera che una volta prese a sberle una ragazza. Ormai la contessa era sulla quarantina. Per l’epoca era piuttosto anziana (non me ne vogliano le quarantenni!) ed era ossessionata dall’avanzare dell’età, con la conseguente perdita della sua leggendaria bellezza. Dal labbro spaccato di quella ragazza schizzò via un po’ di sangue che colpì la mano della contessa. La quale si convinse il punto toccato dal sangue della giovane fosse ringiovanito. A quel punto chiese l'opinione a degli alchimisti.

Immaginatevi la scena. Lavori ai servigi di una psicopatica. Un bel giorno questa arriva e ti chiede “ehi, ma il sangue delle ragazzine fa ringiovanire?”. Sai perfettamente che non è una domanda. È una cosa di cui lei è già profondamente convinta. Se le dici di no, ti fa ammazzare. E non sarà una morte rapida e indolore. Quindi, che fai? Risposta ovvia: “ma certo, mia signora, è risaputo che il sangue delle giovani vergini faccia ringiovanire la pelle!”

Fu l'inizio dell'inferno. La contessa prese ad ammazzare ragazzine, in modi talmente atroci che faccio fatica a pensarci. Tutti prevedevano comunque il dissanguamento delle malcapitate e il conseguente bagno nel loro sangue. Poi, le giovani serve finirono. Così la donna sparse la voce tra la piccola nobiltà: intendeva prendere sotto la sua ala protettrice tutte le giovani di famiglia nobile, in modo tale da insegnare loro le regole dell'alta società. In realtà si era convinta che il sangue delle ragazze di alto lignaggio fosse più efficace nel far ringiovanire la pelle. Inutile dire che furono poche le ragazze che rividero la loro famiglia.

Si cominciò a vociferare su quello che avveniva realmente al maniero dei Nadasdy. I familiari sapevano che Elizabeth stava macchinando qualcosa. Inizialmente fecero in modo di nascondere il tutto, ma non si poteva certo insabbiare la sparizione di così tante ragazze, soprattutto se nobili. Fu così che, alla fine, fu scoperta. Pare che venne arrestata proprio nel bel mezzo di un bagno di sangue. Dorka e Thorko vennero condannati a morte. La contessa li avrebbe seguiti a ruota, se non fosse stato per l'intervento della sua famiglia. Così venne murata viva in una cella, dove visse per tre anni, fino a quando non cominciò a rifiutare il cibo che le passavano attraverso una gattaiola. Morì di fame il 21 agosto del 1614.

Venne ritrovato un diario, presumibilmente appartenuto alla contessa, in cui si scoprì che aveva ucciso oltre seicento donne. Questo la renderebbe la più sanguinaria delle serial killer nella storia.

Tuttavia gli storici storcono il naso, quando sentono questa teoria. I più dubitano molto dell'autenticità del manoscritto. Non che le loro stime fossero poi così rosee. A giudicare dai cadaveri e dalle ossa rinvenute in quel castello degli orrori, sicuramente massacrò più di cento donne. Non è improbabile che le vittime siano arrivate anche a trecento.

Elizabeth... ma un po' di botulino come tutte le donne normali? No, eh?