venerdì 30 gennaio 2015

Piccole curiosità... - parte 2

Allora, innanzitutto, comincio il post ringraziando per tutte le persone che si sono fermate a dare un'occhiata. Non so se 450 visualizzazioni in poco meno di un mese siano poche o tante, per un blog appena agli inizi. Anche se per noi sono decisamente parecchie! Quindi, Grazie! Con la G maiuscola!


Detto questo, torniamo al nostro post.

Oggi vi parlerò del lato torbido di Venezia (no, non intendo quelle praticamente fogne a cielo aperto che sono i canali...). Non che parlare di Ca' Dario e Poveglia sia stata una cosa così allegra, lo ammetto. Ma, in questo caso, non parlerò ancora di fantasmi. Questo post avrà radici più pragmatiche, più o meno come l'ultimo post che ho pubblicato. Ma mentre Villa Pisani era un argomento curioso e allegro, questo sarà molto più cupo. Vi porterò nella Venezia cinquecentesca, dove la realtà supera qualsiasi leggenda. Siete pronti?



Ricordo che quando studiavo la storia della Serenissima a scuola, pensavo a Venezia come ad un semplice porto. Riccamente decorato, ma nulla di che. Ma il fatto che fosse effettivamente soprannominata la “Regina del Mediterraneo” avrebbe dovuto farmi riflettere più a fondo su cosa significasse realmente essere un veneziano, all'epoca. Una volta di più, ho peccato di superficialità, quella superficialità tipica di chi certe cose è costretto a studiarle, senza interesse e senza cognizione di causa.

L'illuminazione mi è giunta facendo le ricerche per l'hotel in cui lavoravo, di cui vi ho già parlato nei miei precedenti post.

Quindi, come dicevo, avevo un'idea molto vaga di come doveva essere Venezia a quel tempo: un porto molto decorato, con il Doge che comandava. E i veneziani, quelli residenti a Venezia, dico, non i mercanti e i soldati, tutto sommato dovevano avere una vita abbastanza piatta.

Ebbene, mi sbagliavo. Eccome, se mi sbagliavo!

In realtà Venezia era un crocevia di gente molto più varia, si incontravano persone di ogni genere, era tutto un frastuono di rumori e di voci, un miscuglio di colori e di personaggi come raramente se ne sono visti in giro! Venezia aveva posto praticamente per tutti, i veneziani erano gente aperta a qualsiasi nuova idea. Era l'equivalente di Amsterdam ai giorni nostri, insomma. Tanto da avere addirittura un quartiere a luci rosse. Dico sul serio!

Il quartiere si trova nel sestiere (perdonatemi i giochi di parole!) San Polo. Divenne una zona di prostituzione nel 1319, quando morì l'ultimo discendente della famiglia Rampani. Le proprietà della famiglia, non essendoci eredi, andarono quindi alla Serenissima, che, poco tempo dopo, fece trasferire tutte le prostitute della città nelle tenute ereditate da questa famiglia, con l'obbligo di esercitare il loro mestiere solo lì. Le leggi che regolavano la prostituzione erano comunque così severe che quelle donne non potevano nemmeno uscire dalla zona per farsi un po' di pubblicità, nonostante potessero esercitare in tutta tranquillità!

Comunque, le tenute si chiamavano Ca' Rampani. Due o tre secoli più tardi, le prostitute più giovani ricominciarono a popolare le calli di Venezia, mentre quelle anziane rimasero nelle case chiuse, a esercitare il mestiere con discrezione. È per questo motivo che, se si vuole insultare una signora anziana, la si chiama “vecchia carampana”!

Come se non bastasse già il fatto curioso che Venezia avesse il suo quartiere a luci rosse (in fondo, chi penserebbe che nella cattolicissima Italia ci siano quartieri, o ex quartieri, a luci rosse, perfettamente riconosciuti e legali?), il Consiglio dei Dieci, la più alta carica politica veneziana dell'epoca, istituì un'usanza un po' particolare. Come già detto, Venezia ospitava persone di qualsiasi tipo. E, come spesso accade, ne acquisiva anche gli usi e i costumi. Tra questi, vi era anche l'omosessualità. Non fraintendetemi, non ritengo affatto che fossero gli stranieri a portare l'omosessualità. Quella è una pratica diffusa ovunque, fin dai tempi più antichi, checché voglia dirne chiunque. Ma in una città così varia come Venezia, il fenomeno aveva finito per accentuarsi. I tribunali lavoravano instancabilmente per combattere quella che veniva considerata una piaga. Quindi, oltre a frustare, fino ad arrivare addirittura a uccidere, chi veniva colto in fallo, incentivarono anche la prostituzione per stimolare il lato eterosessuale degli uomini. E come?

Beh, con un decreto stabilirono che le prostitute dovessero esibire “la mercanzia”, sedendosi sulle finestre delle case chiuse a seno scoperto. Siccome le case chiuse davano su un ponte, quel ponte venne chiamato “Ponte delle tette”!

Se volete avere una vaga idea di come dovesse presentarsi una scena così singolare, guardatevi "Il mercante di Venezia", con Al Pacino. Come film, illustra molto bene i costumi dell'epoca.


Ci sono altre zone che godono di una fama un po' ambigua, anche se non così goliardica, tanto che i veneziani hanno imparato a temerle. Sono la Calle della morte e il Rio Terà dei Assassini (il rio terà, per chi non lo sapesse, è un canale ricoperto di terra, su cui è possibile camminare).

Queste due strade dal nome così cupo, avevano ragione ad essere temute. Erano le zone più oscure di Venezia, e non era raro che lì la gente venisse ammazzata. Ancora più frequenti erano gli omicidi di Stato. Quando il Consiglio dei Dieci firmava una condanna a morte, il condannato veniva ucciso in piazza San Marco. Ma, se volevano un lavoro lontano da occhi indiscreti, facevano in modo che il malcapitato si trovasse “casualmente” dalle parti della Calle della Morte, o del Rio Terà dei Assassini. Col tempo, la gente evitò di andare in quei posti, a meno che non fosse strettamente necessario. Fu solo quando i cittadini reclamarono a gran voce delle luminarie per quelle calli, che ritornarono ad essere frequentate.

Quelle strade esistono tuttora, ed è possibile passarci.

Certo, complice anche un po' di superstizione, io prima imparerei qualche tecnica di autodifesa! Non si sa mai...

giovedì 29 gennaio 2015

Noi, la Luna e il Ciclo


Buonasera ragazze... sì, oggi mi rivolgo in particolare alle ragazze visto che parlerò in breve del ciclo mestruale.

Anche su questo argomento ci sarebbero da spendere fiumi di parole, ma in realtà questo post è una specie di "toccata e fuga" in quanto vorrei condividere con voi un metodo di scoperta e valorizzazione del femminile.



Questo metodo si rifà a quanto scritto da Miranda Grey nel suo libro "Luna Rossa", dove insegna a comprendere il proprio ciclo mestruale ed entrare in contatto con noi stesse.
Chi vuole in realtà può già informarsi, ma prima di saperne di più io vi proporrei di fare un piccolo esperimento: seguiamo questo metodo per un mese, per la durata del nostro ciclo. Poi confrontiamoci e vediamo se abbiamo scoperto qualcosa in più su noi stesse... che ne dite?

Secondo la signora Grey, il ciclo mestruale è diviso in quattro fasi:

Fase della Vergine, corrispondente al periodo post-mestruo. Dura 10 giorni circa.
Fase della Madre, corrispondente al periodo ovulatorio. Dura 3 o 4 giorni circa.
Fase dell'Incantatrice, corrispondente al periodo pre-mestruo. Dura 10 giorni circa.
Fase della Strega, corrispondente al periodo del mestruo. Dura 5 giorni circa.

Ad ognuna di queste fasi corrispondono delle energie particolari... ad esempio molte donne durante la fase della vergine potranno sentirsi piene di energia, più socievoli ad esempio; durante la madre ci si potrebbe sentire più romantiche, disposte a dare amore e affetto agli altri, a consigliarli. Durante la fase dell'incantatrice si potrebbe risvegliare il nostro lato più creativo, compreso un maggior desiderio sessuale, mentre la fase della strega è una fase di riposo, di meditazione, dove ci si dedica di più a sé stesse e ci si sente più isolate.



Parlo al condizionale perché ogni donna è diversa, unica e speciale, e ognuna di noi ha il suo equilibrio.

Spesso ci sentiamo incomprese, condizionate negativamente dal ciclo senza comprendere che tutte noi viviamo come su un'onda che sempre si infrange sulla spiaggia e poi torna indietro...
Se riuscissimo a capire di più come siamo influenzate dal ciclo, forse in alcuni periodi saremmo meno astiose e ci sentiremmo più in armonia con noi stesse. Questo non lo so per certo, ma vale la pena provare no? Anche perché, diciamocelo, non ho mai incontrato una donna che almeno una volta nella vita non sia stata arrabbiata con sé stessa... e per che cosa poi? Meglio amarci e apprezzarci!
Ma bando alle ciance, vi spiego questo benedetto metodo!

A partire dal primo giorno del ciclo, annotiamo su un diario le nostre emozioni e sensazioni, in base a questo prospetto:

1 - Energia: dinamica, socievole, scarica, ritirata.
2 - Emozioni: pacifica, armonica, arrabbiata, irritabile, amabile, magnanima, materna, intuitiva, triste, apatica, malinconica, romantica.
3 - Salute: stanchezza, qualità del sonno, voglie di cibo, cambiamenti fisici.
4 - Sessualità: attiva, passiva, sensuale, bisognosa, aggressiva, amorevole, lussuriosa, nessuno stimolo.
5 - Sogni: sessuali, interazioni con altre persone, colori, animali, magici, premonitori, ricorrenti.
6 - Espressione: creativa, attiva, sportiva, fiduciosa, voglia di organizzare, concentrazione, capacità di affrontare le situazioni, modo di vestire.



Avete voglia di cominciare questo esperimento assieme a me?
Sarebbe una bella opportunità per conoscersi più a fondo, che ne dite?

Fatemi sapere le vostre opinioni ;)


Buona Luna a tutti!


mercoledì 28 gennaio 2015

Simboli ed elementi: Il Cerchio


Il Cerchio è il primo simbolo con cui ci relazioniamo in una religione pagana.
E' il simbolo del grembo materno, del tempo ciclico che si rinnova.

Spesso nella nostra vita i giorni si rincorrono uno dietro l'altro: non abbiamo tempo per dedicarci a noi stessi o ai nostri cari, mentre corriamo di qua e di là nell'ansia di riuscire a "far tutto" entro sera. Le ore scorrono veloci finché, sempre correndo, arriva l'ora di andare a letto e poi via, si ricomincia da capo con un altro giorno, un'altra settimana...
Non so voi, ma più che in un cerchio a me sembra di stare in un tunnel, o peggio ancora mi sembra di girare come una trottola senza capire il senso di dove sto andando. Certe volte ho proprio la sensazione che i giorni si ripetano tutti uguali, senza avere un attimo di respiro.

Se condividete quanto ho scritto sopra, se anche a voi capita di essere presi dal vortice della quotidianità... ecco, sappiate che questo non è il Cerchio.

Il Cerchio rappresenta il tempo ciclico, è vero, ma non per questo tutti i punti della circonferenza sono uguali.



La filosofia del cerchio, se così vogliamo chiamarla, insegna che c'è un tempo per agire e uno per riposare, uno per danzare e uno per meditare, uno per dedicarsi agli altri e uno per prendersi cura di sé stessi.... il Cerchio è simbolo di equilibrio.
Le nostre vite invece, più spesso somigliano ad un treno in corsa.
Qualcuno mi obietterà che non c'è tempo per "prendersi tempo", o per fare tutto ciò che vogliamo... se vogliamo avere un lavoro, una casa, dei figli e un ragazzo/una ragazza, non si può proprio essere equilibrati. Bisogna correre, correre e correre!
Ma chi corre, non sempre è felice.
Parlo sempre per esperienza personale: certi giorni mi sembra di essere su un tapis roulant e di non poter scendere per riposarmi perché dietro di me c'è uno con la frusta che mi tiene d'occhio. Se questo metodo venisse applicato anche nelle palestre, non credo verrebbe più nessuno...
Quindi si insegue la felicità, la si rincorre... ma senza mai afferrarla davvero. Abbiamo imparato a chiamare così l'assenza di situazioni nervose o stressanti, per cui può capitare di confonderla con un sentimento che felicità non è.

Il Cerchio insegna a prendersi cura della propria vita, a vivere il momento presente con intensità... ad ascoltare ciò che è attorno a noi e anche dentro di noi, ma senza lasciarsi trasportare via dalla corrente caotica in cui viviamo oggi.
Se impariamo a rimanere al centro del vortice, al centro del cerchio, scopriremo che per noi si apre una strada...



Tornando ai riti di cui parlavo nel post precedente... quanto bello è tornare la sera e prepararsi una tazza di tè? O sdraiarsi sul letto a leggere il nuovo libro che abbiamo comprato? Anche queste piccole cose sono riti che rendono la nostra vita più ricca...
Aprire il Cerchio è un rito non tanto dissimile dal prendersi una tazza di te.
E' qualcosa che dovrebbe farci sentire liberi dall'oppressione della giornata, in comunione con la natura. Si ascolta, ci si ascolta, si lavano via tutti i pensieri, le arrabbiature... è un posto solo tuo, dove puoi scrivere, leggere, meditare, pregare.
Forse queste parole vi sembreranno esagerate. Però io credo nel potere del Cerchio, e soprattutto nella nostra capacità di "tirarci fuori" dagli eventi della nostra vita per cercare di ritrovare l'orientamento e fare delle scelte per noi, che ci portino verso la felicità.

Quand'ero piccola, ho letto un libro di Susanna Tamaro (del resto, chi non ne ha mai letto uno?) dal titolo "Il Cerchio Magico".
E' la storia del piccolo Rick, cresciuto dalla lupa Guendy e dagli altri animali all'interno di un parco cittadino... o meglio in un piccolo angolo di questo, a cui si può accedere soltanto tramite un cerchio magico.
Il cerchio magico è un luogo che sembra sospeso tra lo spazio e il tempo, invisibile al resto della gente comune... finché il sindaco non decide di distruggere il parco per aprire un iper-mercato.
Inutile dire che Rick, una volta distrutto il parco, si troverà ad affrontare un mare di peripezie nel tentativo di sventare i piani del sindaco Pallaciccia.... ;)



Anche allora mi era rimasta impressa l'idea del cerchio come portale magico, in cui appena ci mettevi piede ti trovavi in un mondo fantastico in cui vivere avventure, fare tutto ciò che mi andava... mi piaceva l'idea di trovare un mondo segreto dov'ero al riparo da tutto.
Chi come me ha giocato spesso all'aperto, sa di cosa parlo.
Tra gli alberi per noi c'era davvero un mondo diverso, un posto speciale che era solo nostro, dove gli adulti non potevano entrare neanche volendo, perché non riuscivano a vederlo.
In un altro libro, di cui purtroppo non ricordo il titolo, la protagonista tracciava con un gessetto un cerchio attorno a sé, e come per magia nessuno riusciva più a vederla... era protetta, al riparo in uno spazio tempo vicino al nostro eppure lontano allo stesso tempo...
A dir la verità non ricordo esattamente cosa succedesse dopo aver tracciato il cerchio, ma ricordo che anche in questo caso c'era il concetto che una semplice linea curva avesse un tale potere da aprire un collegamento tra i mondi, o proteggere.

Quello che sono venuta a sapere molto tempo dopo, è che il Cerchio nel paganesimo ha proprio questa funzione.
Entrare nel cerchio significa connettersi con la parte più pura di noi stessi, e allo stesso tempo non ci stiamo isolando, tutto il contrario. C'è anche il resto del cosmo che ci ascolta, e noi lo ascoltiamo di rimando.
Nella nostra mente, il Cerchio diventa un tempio sacro in cui esprimere il divino.
Passando alla pratica vera e propria, per convenzione la creazione del cerchio è connessa ai quattro elementi: questo sempre per collegarsi alla natura.
Ai quattro punti cardinali quindi, vanno posti i simboli degli elementi, o meglio ancora degli oggetti che li rappresentano. Quelli classici sono la candela per il Fuoco, l'incenso per l'Aria, una ciotola d'acqua o una conchiglia per l'Acqua, un cristallo, sale o anche una piantina per la Terra.
Riporto qui sotto le corrispondenze della tradizione italiana:

NORD                   TERRA                  SALE
EST                        ARIA                     INCENSO
SUD                       FUOCO                CANDELA
OVEST                  ACQUA                ACQUA

Detto questo, io fino a poco tempo fa non conoscevo queste corrispondenze e quindi andavo a caso nei miei tentativi di praticare... c'è anche da dire che non avevo deciso di intraprendere questa strada seriamente, quindi non mi ero documentata. In pratica mi sono boicottata da sola.



Lo si apre sempre in senso orario. Anche in questo caso, troverete un sacco di informazioni che riguardano l'apertura del cerchio: c'è chi lo apre da nord, chi da est (io, forse solo io ma a me sembra più logico così visto che il sole nasce da questa direzione), chi lo traccia a piedi nudi, chi utilizza il sale e chi una corda... alcuni utilizzano formule prestabilite, altri le scrivono secondo il proprio sentire oppure improvvisano.
Per scioglierlo invece, è importante seguire gli stessi procedimenti dell'apertura, ma al contrario: se ad esempio l'avete tracciato con una corda, dovreste prendere l'estremità con cui avete creato il cerchio (quella sinistra) e disfarlo in senso antiorario, magari recitando una formula di chiusura e sempre ringraziando gli elementi e gli Dei (se vi siete messi in contatto con loro) per la partecipazione.
Se non avete formule di apertura, ma vi concentrate sul respiro o sui passi ad esempio, dovreste seguire questo metodo anche per lo scioglimento. Insomma, aprire e chiudere il cerchio è come avere a che fare con uno specchio, o una moneta. Ci siamo noi e il nostro riflesso, c'e la testa e c'è la croce.

Su un punto in comune però concordano tutti: l'utilizzo dei quattro elementi di cui accennavo sopra.

Per cui, visto che c'è una miriade di cose da dire sugli elementi e visto che adesso sono pigra, vi rimando al mio prossimo post, che tratterà anche delle energie psichiche :P


Riassumendo, l'importante quindi è trovare il vostro metodo, quello che vi fa sentire più a vostro agio. Dopotutto, è il vostro cerchio, e vostro il mondo che state cercando di esplorare :)


Alla prossima!

Piccole curiosità... - Parte 1

Questo post sarà un pochino anomalo, rispetto agli altri. Parlerò sì di ville venete, come ho fatto in altri post. Ma non in termini di fantasmi o misteri, quanto di piccole curiosità, come da titolo.

La villa di cui scriverò oggi è Villa Pisani, che si trova a Stra, in provincia di Venezia.

Altra villa che, inutile dirlo, adoro! L'ho visitata più di una volta. Se capitate da quelle parti, una capatina in questo posto è d'obbligo! Lo so che è sempre lo stesso consiglio, ma il Veneto è ricco di posti meravigliosi da vedere, e abitando in zona, il minimo che possa fare è cercare di rendere nota quanto più possibile anche questa piccolissima parte di mondo. Quindi, ecco a voi il sito, dove potrete vedere gli orari e i giorni di apertura. Vi dico già che, mediamente, è chiusa il lunedì.


La villa è stata costruita nel 1721, per ordine della famiglia Pisani. A giudicare da come è venuta fuori la loro residenza estiva, dovevano essere discretamente ricchi! È sufficiente pensare che chi diede l'ordine di costruirla fu Alvise Pisani, il centoquattordicesimo doge di Venezia. Per omaggiarlo, gli architetti fecero sì che la Villa avesse centoquattordici stanze, almeno originariamente. Poi il progetto si espanse e le stanze divennero centosessantotto. Piccolina, eh?



Questa villa presenta parecchie particolarità che secondo me verrebbero apprezzate da tante persone. Innanzitutto, fu creata per imitazione della Reggia di Versailles. Figuratevi quindi che lavoro straordinario è stato fatto! Anche se, immagino, non regge minimamente il confronto con la reggia francese. Dico “immagino”, perché non sono mai stata in Francia.

Inoltre, proprio per la sua particolarità, è stata scelta come residenza da diverse persone di una certa importanza: oltre alle famiglie veneziane, infatti, quella villa ha avuto illustri abitanti, come, ad esempio, Napoleone Bonaparte. Da Napoleone passò agli Asburgo, nel 1814, poi ai Borboni. Nel 1866 divenne, con l'annessione del Veneto al neonato Regno d'Italia, proprietà dello Stato, divenendo museo. Nel 1934, fu il luogo del primo incontro ufficiale tra Hitler e Mussolini.


Una volta dentro, noterete altre curiosità. Vi farete un bel giro nella villa, e vedrete la stanza da letto di Napoleone Bonaparte. Fidatevi, guardando quel letto a baldacchino, avrete un'idea di quanto fosse piccolo quell'uomo!


Passando oltre, alla fine del percorso interno, arriverete alla sala da ballo. Bella oltre ogni dire, tanto che me la ricordo molto meglio di quella della Reggia di Caserta, anche questa presenta una curiosità. Una volta entrati, alzate gli occhi al soffitto. Sulla destra, vedrete un fauno che tiene in mano un bastone. Bene, una volta individuato, attraversate la sala senza staccare gli occhi di dosso al bastone. Quello che vedrete vi lascerà a bocca aperta! E... no! Non vi dico cosa succederà! Andare a visitare la villa, così vedrete!


Una volta terminato il giro, potrete andare fuori a visitare il giardino, che, diciamocela tutta, è uno spettacolo. Non per niente è stato nominato come il più bello d'Italia! La piscina che vedrete davanti a voi, comunque, giusto per aggiungere qualche dettaglio in più, in realtà non faceva parte del progetto originale della villa. Fu aggiunta circa un secolo fa dall'Università di Padova, per effettuare degli studi idraulici sulla zona.

Se andate verso sinistra, vi ritroverete verso l'area più “selvaggia” del giardino, che, nonostante tutto, è la mia preferita. Se invece scegliete il percorso “obbligato”, quello che, cioè, fanno tutti, andrete direttamente al labirinto, uno dei tre rimasti in Italia. Si tratta di un labirinto esagonale fatto di siepi. Credetemi, se vi dico che, la prima volta, senza trucchetti (ce n'è uno che vi permette di arrivare al centro del labirinto in poco tempo. Se volete, chiedetemi pure qual è!), ci si mette anche quaranta minuti ad arrivare alla torretta al centro! Devo ammettere che è fatto molto bene.

Pensate che, quando i Pisani erano ancora proprietari della villa, solevano fare un gioco. Una dama mascherata andava sulla torretta al centro, e attendeva che il suo pretendente arrivasse da lei...

Approfittando del fatto che ci stiamo avvicinando a San Valentino, suggerirei ai maschietti una proposta di matrimonio alla loro dolce metà sulla falsariga di questo gioco! Anche se non sono sicura che il labirinto verrà aperto il 14 febbraio, conviene informarsi tramite il sito. Anche se, insomma, non vorrete certo fare i romantici solo il giorno di San Valentino, spero!


Ed eccoci qui! Le attrattive principali di Villa Pisani ve le ho elencate! Ma non preoccupatevi, non vi ho reso inutile qualsiasi visita! Ci sono diverse cose di cui non vi ho parlato. Il Belvedere, la ghiacciaia, le scuderie...

Coraggio, alzatevi e andate a visitarla!


Baci a tutti!

giovedì 22 gennaio 2015

Fantasmi nel padovano - parte 2

Ed eccoci ad un altro appuntamento con le storie di fantasmi. Sperando che non sia l’ultimo, almeno in quest’ambito! Padova è una città molto antica, e mi sembrerebbe molto strano se saltasse fuori che non ci sono altri fantasmi che gironzolano qui e là! Purtroppo al momento non ne ho trovati altri, se non i più famosi: quello di Lucrezia e Tommaso Obizzi, di cui ho parlato qui, e i tre fantasmi del castello di Monselice.

Non preoccupatevi, comunque, sono certa del fatto che il materiale su Padova è ben più abbondante. Datemi un po’ di tempo, e vedrete che qualcosa troverò da raccontarvi. Il problema di Padova è che si è cominciato da troppo poco tempo a valorizzarla come meriterebbe.

Ma torniamo allo scopo di questo post.

Il castello di Monselice, detto anche Castel Cini, è un castello costruito tra i secoli XII e XIV e usato come residenza dai Da Carrara. Nel corso dei secoli passò da un proprietario ad un altro, fino al 1981, quando la sua proprietà passò alla regione Veneto. Potete leggere qui qualche accenno storico, se vi va.

Il castello è tuttora visitabile, se volete farci una visita ecco a voi il sito per verificare gli orari e i prezzi.

Il consiglio che vi do è lo stesso del castello del Catajo: visitatelo, perché è un posto che merita di essere visto.

Io personalmente l’ho visitato due volte. La prima volta avevo dieci anni, e l’altra è stata poco più di tre anni fa. Sono molto affezionata a questo castello, anche perché è qui che, per la prima volta, ho subìto il fascino di queste fortezze.

Si tratta di una delle strutture storiche più famose di Padova (se si escludono la basilica del Santo e il Palazzo della Ragione). Se avete dato una letta alla pagina di Wikipedia che ho linkato, vedrete che è passata dalla famiglia dei Da Carrara, signori di Padova, a quella di Ezzelino d’Este (o Da Romano, com’è conosciuto ai più). Poi sono arrivati altri proprietari, ma sono particolarmente queste due famiglie a interessarci.

Due fantasmi su tre, infatti, sono legati alla famiglia Da Carrara. Uno di loro è stato identificato con Jacopino Da Carrara, reggente di Padova insieme al nipote Francesco Da Carrara. L’altro fantasma sarebbe la sua compagna Giudita (o Giuditta, che dir si voglia).

La loro storia è un perfetto esempio di crudeltà umana e amore imperituro. È effettivamente dimostrato che tali personaggi sono realmente esistiti. Come già detto, entrambi i signori, in quanto eredi della famiglia dei Carraresi, governavano su Padova. Peccato che Francesco, di punto in bianco, cominciò ad andare in paranoia. Convinto che lo zio stesse tramando per spodestarlo, lo fece arrestare e sbattere in cella. La cella in cui venne rinchiuso pare che esista ancora. Si tratta di un buco profondo nelle fondamenta del castello, senza porte, né finestre, né illuminazione. E qui entra in scena Giudita. La donna, a detta di alcuni, moglie di Jacopino, secondo altri, la sua amante, passò anni a disperare per la sua sorte. Tentò in tutti i modi di vederlo. Pensate quanto lo amava: la prigionia di Jacopino durò ben dodici anni! E, per tutto quel tempo, lei continuò a tentare. Giunta all’estremo, arrivò a corrompere le guardie perché gli permettessero di vederlo. Lo vide solo per una manciata di minuti, prima di essere arrestata lei stessa e sbattuta in carcere a sua volta, dato che, nel frattempo, Francesco Da Carrara si era convinto che la donna fosse una spia al soldo dei veneziani.

Con quella breve visita, i due amanti decretarono la loro condanna a morte. Francesco decise di farli morire entrambi di fame e di sete. Si disse che le urla di Jacopino che chiamavano Giudita, cominciate quando capì la sua sorte, accompagnarono il castello anche dopo la sua dipartita. Alcuni dicono di sentirle tuttora, e sarebbe così che il suo fantasma si manifesta. Altri, invece, sostengono che cammina in giro per le stanze del castello, appoggiato ad un bastone, con incedere lento e triste, mentre cerca la sua Giudita.

Ma non è finita qui. Se mai andrete a visitare il castello, fatevi una bella camminata lungo la strada delle Sette Chiese, proprio vicino al castello. Può darsi che incontrerete Giudita che chiede del suo amato Jacopino. Per un bizzarro e sadico scherzo del destino, lei non sa della sua sorte… pare che sia stata maledetta da Francesco Da Carrara in persona.

Secondo alcune versioni, ella si manifesta solo agli innamorati, e bisogna incoraggiarla ad aspettare il suo uomo, senza però dirle cosa gli è successo. Prima o poi la maledizione si spezzerà e potranno stare insieme per sempre…


Passiamo quindi da una storia in perfetto stile shakespeariano a una degna di Stephen King.

Il secondo fantasma, come vi accennavo prima, riguarda Ezzelino da Romano. Se girate per il castello e vedete il fantasma di una donna piccolina di statura, con i capelli scuri e la pelle molto pallida, con addosso un vestito bianco sporco di sangue… beh, prima chiamatemi, che sono curiosa anch’io di vederla! Dopodiché, volteremo i tacchi insieme per allontanarci senza farci notare.

La storia di quel fantasma è una storia un po’ particolare. Mentre la storia di Giudita e Jacopino è basata su fatti realmente accaduti, questa poggia su basi un po’ meno solide.

Il nome di quella donna è Avalda. Non si hanno notizie certe della sua esistenza. Tuttavia pare che fosse l’amante di Ezzelino III da Romano, detto il Tiranno. Si sa, il simile attira il proprio simile. Si capisce bene che uomo mite e tranquillo sia, uno che viene soprannominato “il Tiranno”!

Bene, la sua amante non era da meno! Sadica e crudele, esperta in veleni e torture, forse addirittura strega e negromante, mentre Ezzelino spargeva sangue e distruzione dove poteva, dalla bassa padovana, alla Lombardia, fino ai monti bellunesi e trentini, lei lo faceva dentro al castello. Pare che si divertisse a sedurre amanti sempre diversi. E quando si stancava, li uccideva. Come, non è ci dato saperlo, si può solo immaginare.

Ma come ho già detto in questo post, prima o poi, quello che fai lo paghi. In bene o in male, ma prima o poi il conto si presenta. E anche Avalda non fu esente da questa dura legge di vita. Ezzelino scoprì le sue malefatte e la fece uccidere da un sicario.

Da allora gira per il castello in cerca di pace. Che dite, con quello che ha combinato, la troverà?

Una cosa che mi ha incuriosito parecchio della storia di Avalda, comunque, è il fatto che la sua storia l'avevo già sentita. Ma non riguardava lei direttamente. Ho notato che spesso si tende a ritrovare la stessa leggenda in più aree. Per esempio, la leggenda di Avalda l'ho ritrovata in una storia trentina, solo che il nome della protagonista della vicenda era Dina, ed era la contessa di Castel Romano. Ma di questo parlerò più avanti...

lunedì 19 gennaio 2015

Riti di iniziazione - Un nuovo cammino spirituale


All'alba del 19 Gennaio, finalmente su questo blog compare anche un mio articolo.
Era anche ora! Come vedete dal titolo però, non ha nulla a che fare con misteri o leggende... inauguriamo la sezione Paganesimo & co!

Inizialmente pensavo che avrei scritto qualcosa in relazione al mese di Gennaio, in particolare sulla Befana e le origini di questa figura popolare. Per quanto interessante, mi sono accorta che non riuscivo proprio a cominciare... neanche con una sola parola.
Complici un paio di ricerche su internet e una chiacchierata su Facebook, ho deciso invece di scrivere un post su un argomento che è allo stesso tempo delicato e controverso.

Quando una persona decide di abbracciare un nuovo credo ed entrare in una comunità, di solito si tiene un rito celebrativo che simboleggia il passaggio dalla vecchia alla nuova fede.
Non in tutte le religioni è però presente, specialmente in quelle orientali che si basano su filosofie di vita, e non su verità rivelate come per le tre grandi religioni monoteiste. 
Nelle culture di tutto il mondo e di tutti i tempi però, si può rintracciare la presenza di riti di passaggio che l'individuo doveva necessariamente affrontare. 
Nei tempi antichi ad esempio, gli uomini (cacciatori e guerrieri) dovevano superare delle prove di sopravvivenza per essere accettati all'interno della tribù. Inoltre, da che mondo è mondo, quando due persone manifestano la volontà di unire le loro vite in un atto d'amore, si celebra un matrimonio.
Perché sentiamo il bisogno di festeggiare questi passaggi? Ve lo siete mai chiesti?
Da parte mia, credo che il bisogno di celebrare gli eventi più importanti della nostra vita sia qualcosa che è scritto nel nostro DNA. E' un modo per sottolineare l'atto che ci si appresta a compiere, un modo per portare il divino dentro la nostra vita e abbracciare pienamente il significato di alcune scelte.
Il linguaggio del corpo e i gesti che si compiono durante le celebrazioni parlano da sé, ed è come se volessimo gridare al mondo "Io ho fatto questa scelta, sono consapevole di come cambierà la mia vita e sono pronto a prendermi le mie responsabilità".
Nel battesimo Cristiano, l'acqua lava via il peccato o la vecchia fede, purifica il credente e le rende pronto per cominciare la sua nuova vita.

Per quanto riguarda l'iniziazione alle religioni neopagane invece?

Diversamente dalle altre religioni, sembra che per il paganesimo non esistano veri e propri riti... anche se bisogna fare alcune precisazioni.
La prima e la più importante, è che il neopaganesimo è un insieme eterogeneo di tradizioni: la più conosciuta è senz'altro la Wicca, ma esistono anche la Tradizione Egizia, La Via Romana agli Dei, il culto di Odino, e quant'altro. Non ho mai studiato le tradizioni specifiche di un singolo Pantheon, perciò quello che voglio dire è che i riti di iniziazione possono essere molteplici proprio perché ci sono molte divinità che il credente può scegliere di onorare.
Nel libro "Wicca, Il praticante solitario" di Scott Cunningham, viene descritto un rito di autoiniziazione, o meglio di dedicazione agli Dei che è spesso utilizzato e adattato personalmente da chi desidera praticare in solitario. E' un rito molto semplice in cui si esprime la volontà di abbracciare il culto della Dea e del Dio, e di impegnarsi ad onorarli e ad approfondire la loro conoscenza, nonché quella della natura che ci circonda e degli spiriti che la abitano.

Per prepararsi al rito è bene fare un bagno allo scopo di purificarsi delle energie della giornata e rilassarsi. Poi è importante trovare un luogo tranquillo, un posto che per voi dovrebbe essere speciale, carico di significato... meglio se in Natura, come un parco o un angolo riparato del vostro giardino. Spesso chi abita in città non ha la possibilità di celebrare all'aperto, quindi penso che vada bene anche la vostra stanza preferita, un posto in cui nessuno può disturbarvi e dove vi sentite al sicuro.
Dovreste portare con voi dell'olio profumato e, dopo aver chiamato gli Dei, esprimere loro le vostre intenzioni riguardo il percorso che vi apprestate a cominciare. Cunningham suggerisce di tracciare sulla vostra pelle, con l'olio profumato, i simboli della Dea e del Dio e di visualizzarli come se fossero fatti di luce.





Fatto questo, il rituale è concluso. Prima di ritornare alla quotidianità però, sarebbe sempre bene ringraziare gli Dei per la partecipazione.

Secondo me è un rituale carino, anche se prima di tutto contano le intenzioni e il proprio sentire.
Riprendendo il discorso di prima infatti, non tutti decidono di fare una dedicazione agli Dei, anzi alcuni dicono che è addirittura superfluo, in quanto secondo il loro modo di sentire "appartenevano" già a quel sentiero.
A questo punto, l'iniziazione diventa un rituale importante soltanto quando il credente viene accolto all'interno di una congrega già esistente di fedeli. Il rituale viene perciò celebrato dal Sacerdote o dalla Sacerdotessa della comunità, anche se in questo caso non mi è chiaro che tipo di celebrazioni vengano fatte.
Se devo essere sincera, ho notato che nel web si può trovare materiale riguardo la dedicazione agli Dei e l'iniziazione in "solitario", ma è difficile ottenere più informazioni riguardo chi è stato ammesso all'interno di una comunità pagana, o anche riguardo alle altre tradizioni. Parlo comunque della realtà italiana, non di quella inglese o statunitense.
Infatti, da quello che so le comunità italiane sono molto ristrette, più per motivi di lontananza fisica che altro... nel senso che pur essendoci molti praticanti, è difficile che tutti si trovino nelle vicinanze di una città per poter celebrare insieme. Senza contare che alcuni non desiderano neanche fare parte di una congrega, preferendo instaurare un rapporto strettamente personale con le divinità.

Parlando invece con un'altra ragazza, ho scoperto che esisterebbero addirittura tre stadi di iniziazione.
In una comunità pagana, idealmente la prima iniziazione sarebbe una sorta di benedizione fatta ai bambini, perché il Dio e la Dea li proteggano fino al raggiungimento della maggiore età. La seconda iniziazione invece riguarda la scelta volontaria da parte del credente di proseguire nel suo cammino di fede, mentre tramite la terza iniziazione il credente diventa ufficialmente un Sacerdote o una Sacerdotessa.
Un tipo di iniziazione particolare invece è la dedicazione fatta ad una specifica Divinità.
Il credente dichiara in questo caso la volontà di onorare in modo speciale un Dio o una Dea, e quindi di iniziare un percorso speciale di approfondimento dei misteri legati a lui/lei, riti e quant'altro.
Si tratta di una scelta che solitamente si compie quando si ha già intrapreso da tempo questo cammino spirituale, e si sente un legame particolare con quella divinità.

I riti di passaggio sono quindi molteplici, non esiste una tradizione univoca... spesso ci si affida al proprio cuore per trovare la strada spirituale che fa per noi, e io personalmente credo che dovremmo sempre seguirlo.
E' facile perdersi in poesie auliche per celebrare, o nell'ansia domandarsi mille volte se andava bene ungersi prima di fare la dedicazione, o dopo. E' dannatamente facile perdere di vista il significato vero delle celebrazioni, dei riti di iniziazione e di passaggio quando la forma si sovrappone alla sostanza, o quando questi ci vengono "appioppati" come un dovere.
La spiritualità nasce dal bisogno dell'uomo di sentirsi parte di qualcosa di più grande, e io spero di avervi un po' guidato nel trovare il vostro cammino.

A presto viandanti...




Jessica

Fantasmi nel Veneziano - Parte 1

Quando lavoravo nell’hotel alle porte di Venezia, di cui ho parlato nel mio primo post, ho dovuto fare diverse ricerche sulla zona. Non è stato particolarmente gravoso, anzi, queste cose mi divertono! Se parliamo poi di trovare leggende e curiosità, vado in brodo di giuggiole! D’altra parte non si capisce che adoro queste cose, vero?

Così, spulcia di qua, leggi di là, ho trovato del materiale davvero interessante! Qui di seguito, troverete un paio di storie, una famosa e l’altra forse un po’ meno, su monumenti e zone che, purtroppo, non ho mai potuto visitare personalmente come vorrei.

La prima parla di Ca’ Dario. E qui mi immagino chi mi conosce da almeno un anno sbuffare. Date la colpa a loro se improvvisamente si alzerà il vento.

È, in effetti, una leggenda che mi è rimasta profondamente impressa, tanto che ne ho parlato fino alla nausea!

Più che di una leggenda, però, si tratta di un mistero. E non l’ho scoperto lavorando per l’hotel, a ben pensarci, anche se l’ho rispolverato per bene in quelle ricerche. Me ne aveva parlato mia zia una volta in cui ero andata a Venezia con lei e mio cugino per fare una passeggiata. Saranno passati circa vent’anni, non ne avrò avuti più di sette o otto, e di quella passeggiata non ricordo praticamente niente, se non, appunto, questa leggenda.

Cà Dario è una residenza che si affaccia sul Canal Grande. Da fuori, è molto bella da vedere, un esempio di architettura rinascimentale che gli esperti sicuramente apprezzerebbero.

È stata costruita nel 1479 per ordine di Giovanni Dario, un ricco mercante veneziano di origini dalmate, come dote per il matrimonio della figlia Marietta con un altro mercante veneziano di nome Vincenzo Barbaro. Dal momento in cui la donna prese posto nell’edificio, alla morte del padre, cominciarono i guai. Il marito Vincenzo cadde in disgrazia, così Marietta si suicidò. Il palazzo andò di conseguenza al vedovo, il quale venne accoltellato. Venne ereditato quindi dal loro figlio Giacomo che, sorpresa sorpresa, morì in un agguato a Creta. Il palazzo passò di padre in figlio, fino al XIX secolo, quando Alessandro Barbaro lo vendette ad un ricco mercante armeno. Indovinate un po’? Il mercante fece bancarotta poco dopo!

Un altro paio di proprietari fallirono e furono costretti a rivenderla, e andiamo avanti così fino ai giorni nostri. Nel dopoguerra venne acquistata da un milionario americano, tale Charles Briggs. Fu costretto a scappare da Venezia a causa di voci insistenti sulla sua presunta omosessualità.

La villa, quindi, rimase senza proprietari fino al 1964. Quell’anno, il tenore Mario Del Monaco avviò le trattative per acquistarla. Desistette a seguito di un grave incidente.

Qualche anno dopo, venne acquistata da un conte torinese, ucciso all’interno del palazzo nel 1970 dal suo amante. Il quale, va detto, scappò a Londra, dove venne assassinato.

Poi fu la volta di Christopher “Kit” Lambert, manager del gruppo “The Who”. La acquistò, innamoratosi dell’aria romantica emanata dalla villa, dichiarando di non credere alla sinistra fama dell’edificio. Ma, disse in seguito, per un periodo dormì nel chiosco dei gondolieri lì vicino, per scampare ai “fantasmi della villa che lo perseguitavano”. Nel 1974 ebbe un tracollo personale e finanziario.

Venne venduta ad un uomo d’affari veneziano, che vi si trasferì con la sorella. La sorella morì in un incidente misterioso e mai chiarito, mentre lui fu coinvolto in un crack finanziario e arrestato per aver picchiato una modella.

Si arriva alla fine degli anni Ottanta. Un finanziere, Raul Gardini, posò le mani su quella villa. E nel 1993 venne coinvolto nello scandalo di Tangentopoli. Si suicidò nella sua villa di Milano. Anche se alcuni non sono così convinti che si sia trattato di suicidio, ma noi ci fidiamo del perito settore. La vicenda è già abbastanza sconcertante di suo, senza aggiungere ulteriori fronzoli!

Pare che persino Woody Allen fosse molto interessato alla villa, ma decise di non acquistarla, probabilmente a seguito della brutta nomea sviluppata, sia dall’edificio che da lui stesso (si era negli anni in cui venne accusato di molestie sessuali).

Infatti, fino al 2006, nessuno osò acquistare Ca’ Dario, anche se comunque venne occupata, una volta.

Correva l’anno 2002. Toccò a John Entwistle, bassista degli “Who” a rimanere affascinato dalla villa. Giusto perché, dopo Kit Lambert, la band non ne aveva abbastanza di gente colpita da villa Dario. Lui la prese in affitto, comunque. (Da chi, non è dato saperlo. Insomma, come si fa ad affittare una casa senza proprietario? Se qualcuno potesse soddisfare questa mia curiosità, gliene sarei grata!). Non che gli sia servito a granché, limitarsi all’affitto. Dopo una settimana morì di infarto.

Nel 2006, la proprietà passò a una società americana per conto di ignoti. Attualmente la villa è sotto restauro. So che qualche volta l’hanno aperta per consentirne la visita, ma personalmente ho sempre mancato l’appuntamento per un pelo. Una volta mi è capitato di scoprirlo due giorni dopo il giorno dell’apertura al pubblico! Ma a giudicare dalle foto viste in questo sito deve essere qualcosa di spettacolare.

Come può una villa portare così tanta sfortuna? Alcuni hanno avanzato la classica ipotesi del “è stata costruita su un cimitero”. In questo caso, dicono addirittura templare. Altri hanno dedotto che risente della sfortuna respinta dall’amuleto della villa a fianco. Mi spiego meglio: sulla villa a fianco, proprio sulla porta, pare ci sia un amuleto che respinge la sfortuna. E questa, trovando questo ostacolo, si riversa su Ca’ Dario come una cascata d’acqua che incontra una roccia…

Posso dirlo? Quasi quasi mi metto lo stesso amuleto sulla porta di casa mia!

E questa è una delle due leggende. La leggenda di Ca' Dario, la villa maledetta!

L'altra leggenda riguarda un'isola veneziana infestata da fantasmi: Poveglia.

Da quello che so, quell'isola non è raggiungibile da mezzi pubblici. Di fatto, è un'isola abbandonata, anche se diversi enti stanno premendo per il suo recupero.

La storia di Poveglia è piuttosto lunga da descrivere, ma il post è già abbastanza lungo, quindi lascerò perdere, almeno per ora. Anche se è un peccato, perché è molto interessante. Quello che ci serve sapere, ai fini di questo post, è che si trova in un punto alquanto isolato rispetto alla città. Il che l'ha resa oggetto di interesse per diversi motivi, sia buoni, che cattivi. È servita come avamposto militare in diverse guerre. Ma anche come lazzaretto, durante l'epidemia di peste che colpì la Serenissima nel 1700. Ed è proprio qui che la storia inizia ad attirare sul serio la nostra attenzione. L'isola venne messa in quarantena e utilizzata per bruciare i cadaveri delle persone colpite dalla peste. Ma, purtroppo, non erano solo cadaveri, quelli che bruciavano. Alcuni vennero arsi vivi. E altri malati vennero comunque lasciati lì a morire. Furono talmente tante, le persone che trovarono la loro fine in quel posto, che tuttora, scavando, si trovano scheletri su scheletri. A seguito di quel periodo sfortunato, l'isola venne abbandonata. E, logicamente, fiorirono le leggende.

Nel 1922, comunque, ritornò ad essere abitata. Venne costruito un edificio che, almeno ufficialmente, fu utilizzato come geriatrico. Alcune testimonianze, tuttavia, riportano che in realtà quell'istituto era, malauguratamente, una clinica psichiatrica.

All'epoca, i metodi di cura dei malati mentali non erano “dolci” come lo sono oggi. Possiamo essere favorevoli o contrari agli psicofarmaci, ma nessuno negherà che sono senz'altro meglio di una lobotomia vecchio stampo! Soprattutto se a farla è un dottore estremamente crudele, amante di esperimenti sulla pelle di poveri pazienti indifesi. Si dice anche che tale dottore amasse particolarmente aprire crani ed estirpare parti di materia cerebrale. Sì, lo so, in fondo era così che funzionava una lobotomia, ma credo che, da quel pochissimo che so, negli anni Venti la tecnica si fosse un po' affinata. Non che a questo dottore importasse, dopotutto.

Perché è importante sapere di questo manicomio?

Perché dal momento della sua apertura diversi pazienti lamentarono voci e presenze vaganti per le stanze. Erano tormentati dagli spiriti dei poveretti morti di peste in quello stesso posto.

Naturalmente, si parla di circa cent'anni fa: già i diritti dei pazienti venivano calpestati senza troppi complimenti a prescindere dalla malattia. In più, chi si lamentava era una sfilza di pazienti malati mentalmente. Vennero forse creduti, quindi? No, direi proprio di no. Anzi, diedero la scusa al sadico medico di aumentare il numero di esperimenti su quella povera gente. La situazione non migliorò per niente.

Ma, si sa, alla fine tutti i nodi vengono al pettine. Per quanto parecchi facciano fatica a crederlo, le nostre malefatte le paghiamo. E certe volte le paghiamo care e salate. E questa sorte toccò anche a quel “simpaticone” del dottore. Cominciò a percepire anche lui la presenza di spiriti ed entità. I malati di peste e i pazienti morti “grazie” alle sue “cure” cominciarono a perseguitarlo. Fino a che, salute a noi, salì sulla torre del manicomio e si buttò di sotto. Secondo alcuni, comunque, non morì per l'impatto con il suolo. Pare che, mentre era steso a terra, agonizzante, una nebbiolina sia emersa dal terreno. Questa nebbiolina l'avvolse e lo soffocò, per poi ritornare da dove era venuta.

Il manicomio venne abbattuto nel 1946, ma pare che ci sia ancora qualche presenza in quell'isola sconsacrata, presenza testimoniata dai pochi coraggiosi che l'hanno raggiunta e visitata. Tanti hanno sostenuto che non è semplice il solo fatto di restare lì, pare che l'aria sia molto pesante...

Ed ecco a voi anche la seconda leggenda!

Spero che abbiate gradito questo post così lungo, così come spero che vogliate seguirmi presso i meandri della Serenissima, in cerca di altri misteri...

mercoledì 14 gennaio 2015

L'ineluttabilità del destino

È da giorni che non fa altro che rimbombarmi in testa la canzone “Samarcanda”, di Roberto Vecchioni. Da quando, in un pomeriggio uggioso in ufficio, ho cercato su youtube un po’ di canzoni da ascoltare, giusto per non dover stare sempre sola con i miei pensieri, e ho trovato questa versione, cantata da Vecchioni e Branduardi... credetemi, non c’è stato modo di togliermela dalla testa neanche a pagare oro!

La canzone è famosissima, prima o poi chiunque l’ha sentita, anche solo una volta. È stata composta nel 1977, e ha un ritmo veramente coinvolgente. Se poi si guarda il video girato nel 1992 con Branduardi (vi rimando al link di prima!), capirete come mai, per me, la canzone diventa pressoché irresistibile!

Devo dire, però, che, inizialmente, non avevo capito il significato reale di questa canzone. Quando ho ascoltato le parole per la prima volta, in seconda media, complice un bel po’ di superficialità, ho pensato semplicemente che si trattasse della storia di un soldato un po’ stupido che viene spaventato da una donna. (Per i puristi del genere: fustigatemi pure sulla pubblica piazza! Anche, se, a mia discolpa, avevo tredici anni scarsi…)

Sono passati gli anni, e “Samarcanda” non l’ho più sentita. Non ci ho neanche più pensato. Fino a quando, appunto, cercando su youtube una playlist di Angelo Branduardi da ascoltare, l’ho ritrovata. E ho deciso di andare un po’ a fondo, perché, ok, il video è un montaggio in chiave comica di vecchi filmati, ma Branduardi e Vecchioni non sono gli ultimi scemi della piazza, i loro lavori hanno sempre un significato più profondo di quanto non sembri al primo impatto!

Così ho scoperto che questa canzone è ispirata a vecchie leggende diffuse in ogni dove. La si trova persino nelle antiche tradizioni ebraiche!

La storia originale, fiaba mediorientale, parla di un servo che un giorno andò al mercato per conto del suo padrone. Tornò da lui terrorizzato, dicendo che aveva incontrato la Morte, la quale l’aveva guardato minacciosamente. Il servo implorò il padrone di dargli un cavallo, modo da poter scappare a Samarra (nell’attuale Iraq. Credo che Vecchioni l’abbia cambiata in Samarcanda – città dell Uzbekistan – per facilitarsi la scrittura dei versi), a due giorni di viaggio, dove la morte non avrebbe certo potuto raggiungerlo!

Il padrone acconsentì. Poi andò al mercato lui stesso e incontrò anche lui la Morte. Le domandò come mai avesse terrorizzato il suo servo, minacciandolo in quel modo. La Morte rispose che non l’aveva minacciato. Era semplicemente sorpresa di trovarlo lì, dal momento che doveva prelevarlo due giorni dopo a Samarra!

Come scrivevo prima, c’è anche una versione nelle tradizioni ebraiche che riguarda Re Salomone. Un giorno Salomone passeggiava per la sua città. Incontrò l’Angelo della morte, seduto triste su una scalinata. Gli si avvicinò. “Cosa ti rattrista?” gli chiese. “Sono triste perché mi è stato detto che devo prelevare quelle due persone.” rispose l’Angelo, indicando due scribi di Salomone che si trovavano poco distante da loro. Salomone non voleva perdere i suoi due servi, così diede loro due cavalli, insieme all’ordine di scappare fino a Luz, dove l’Angelo della morte non avrebbe potuto prenderli.

Il giorno dopo, Salomone incontrò di nuovo l’Angelo, solo che, questa volta, sorrideva.

“Perché sorridi? I miei servi sono scappati!” esclamò il re.

“Sorrido perché avevo l’ordine di prenderli a Luz!” rispose l’Angelo.

Ecco, a dirvela tutta, nonostante il titolo, non sono così sicura che esista un destino. Un libro che dice cosa faremo in futuro, e che a noi non è dato di sapere fino a che non si compie. Credo che sì, ci sia qualcosa che governi le nostre azioni, ma non con così largo anticipo.

Tuttavia, devo dire che queste storie mi hanno messo parecchi brividi!

domenica 11 gennaio 2015

Fantasmi nel padovano - parte 1

Probabilmente, chi è appassionato come me all'argomento “fantasmi”, conosce già la storia che sto per raccontarvi.

La storia parla del fantasma del castello del Catajo.

Innanzitutto vorrei dirvi una cosa: se capitate dalle parti di Battaglia Terme, in provincia di Padova, fateci un giro. La zona delle Terme Euganee merita e ancora di più merita questa villa veneta.

Perché, a differenza di quanto suggerisce il nome e, in parte, anche l'aspetto, questa residenza non è un castello medievale, ma una villa veneta i cui proprietari, gli Obizzi, erano ricchi mercanti alquanto eccentrici.

Basti pensare al fatto che diffusero la voce che “Catajo” derivasse dall'antico nome dell'impero cinese, il Catai. In realtà, (piccolo spoiler), il nome deriva da “Ca' Tajo”, cioè “casa del taglio”, che era il nome del canale che “tagliava” quei possedimenti.

Attualmente la villa è visitabile, a meno che non ci sia un matrimonio. Tenete d'occhio il sito (qui, sperando di riuscire a a fare un link decente. Portate pazienza, sono nuova in queste cose.), perché a volte fanno serate davvero carine, con visite notturne e aperitivi vari.

Ma torniamo alla storia.

Il fantasma del castello del Catajo altri non è se non Lucrezia Obizzi, consorte di Pio Enea II Obizzi. Nata nel 1612 come Lucrezia Dondi dall'Orologio, discendente di una delle più importanti famiglie di Padova (famiglia che commissionò la costruzione dell'orologio in piazza dei Signori, tanto per dare un'idea del prestigio di cui potevano ben vantarsi), Lucrezia era una donna ben voluta da parecchie persone. Tanto che un amico di suo marito, tale Attilio Pavanello, se ne innamorò. Ma lei era una donna virtuosa, che aveva prestato un giuramento al marito e intendeva tenervi fede, quindi non cedette mai alle insidie di quell'uomo.

Trattandosi di una persona estremamente comprensiva ed equilibrata (!), Attilio fece un ennesimo agguato nella camera da letto della donna, nella loro residenza a Padova. Anche in quel caso, Lucrezia lo respinse. Per tutta risposta, lo stalker le tagliò la gola. Tutta Padova pianse quella gran signora, che venne sepolta nella Basilica di Sant'Antonio. Fu vendicata, comunque. Attilio perse la vita in un agguato non molto tempo dopo, per mano della famiglia Obizzi e dei loro amici.

Dopo la sua morte, il marito Pio Enea fece portare la pietra dove Lucrezia perse la vita, su cui è ancora visibile una vaga traccia di sangue (vista con i miei stessi occhi, sissignori!), al castello, dimora che la donna amava moltissimo. Dal momento in cui la pietra prese posto nella villa, cominciò ad apparire il fantasma di una donna vestita di azzurro, che cominciò a girovagare malinconica per la tenuta. Si suppone che il fantasma sia, per l'appunto, Lucrezia Dondi dell'Orologio Obizzi.

A dirla tutta, ci sarebbe un altro fantasma che gira per il castello del Catajo. Non si sa molto di lui, ma si dice che sia Tommaso Obizzi, ultimo discendente della famiglia, rimasto vedovo dopo due anni di matrimonio e morto senza eredi nel 1803.

Questi sono i fantasmi più famosi di Padova. Ma ce ne sono diversi altri...

mercoledì 7 gennaio 2015

Parlando di fuochi fatui... - Angela

Mi sono resa conto che non ho ancora dato una spiegazione al nome di questo blog.

Bene, eccola qui.

Credo che, prima o poi, tutti abbiamo sentito parlare di fuochi fatui. Si tratta semplicemente di fiammelle, per lo più azzurrine, diffuse particolarmente nelle brughiere o nei cimiteri. Hanno origine dalla combustione di alcuni gas originati dalla decomposizione degli organismi.

Provate a immaginare di camminare in un cimitero in piena notte e di vedere delle fiammelle generarsi praticamente dal niente sopra le tombe, e capirete perché, quando si parla di fuochi fatui, non viene da essere allegri! Ora sappiamo, più o meno, come si generano, ma in epoche più antiche, quando l'ignoto era qualcosa di veramente enorme con cui confrontarsi (tralasciando il fatto che, ora che sappiamo tante cose, l'ignoto forse spaventa ancora di più), e anche le cose che ora risultano ovvie erano viste con sospetto, non doveva essere molto simpatico veder comparire queste lucine tremule.

È abbastanza ovvio, quindi, che attorno a questo curioso fenomeno siano nate le leggende più disparate.

La più famosa è senz'altro la leggenda irlandese di Jack O' Lantern. Quest'uomo era un fabbro che, con uno stratagemma, aveva imbrogliato il diavolo, riuscendo a salvarsi dalla pena eterna.

Dato che Jack non era quel che si dice uno stinco di santo, il re delle tenebre si era molto interessato a lui. Così, un bel giorno, andò a reclamare la sua anima. Ma il fabbro si rivelò molto astuto e, tanto di cappello da parte mia, riuscì a rinchiudere il demonio in una sacca con dentro una croce d'argento. Satana rimase per un po' lì dentro, prima comandando e poi implorando di uscire. Fu così che, tramite un ricatto bello e buono, Jack riuscì a guadagnarsi altri dieci anni di vita.

Dieci anni dopo, Satana tornò dal fabbro, il quale acconsentì a seguirlo negli inferi. Ma, a metà strada, i due si fermarono all'ombra di un melo. A quel punto Jack espresse il desiderio di mangiare un'ultima mela prima della dannazione eterna. Inizialmente titubante, Satana accettò comunque di arrampicarsi sull'albero e prendergliene una. In fondo, il sapore dolce della mela avrebbe reso più aspra l'eternità trascorsa tra le fiamme e la sofferenza. Una volta salito sull'albero, però, si rese conto di essere stato gabbato una volta di più. Jack, svelto come una lepre, incise una croce sul tronco del melo. E Satana non riuscì più a scendere. Fu solo dopo aver promesso che non avrebbe mai più avanzato pretese sull'anima del fabbro, che si vide cancellare la croce. Così riuscì a scendere e se ne tornò all'Inferno.

Ricordo che, quando ho letto questa storia la prima volta, ho pensato che, a dirla tutta, secondo me Satana si era proprio comportato da boccalone! Come aveva fatto a farsi fregare così? Il principe delle tenebre, poi? Le idee mi si sono chiarite leggendo il seguito della storiella. Leggete un po'!

Trascorsero gli anni, e venne il momento di morire anche per Jack, che decise di presentarsi alle porte del Paradiso. San Pietro però, gli negò l'accesso al Regno dei Cieli. È vero che era riuscito a ingannare il diavolo, ma poi non aveva trascorso il resto della vita a fare del bene, anzi! Aveva continuato nei suoi comportamenti egoisti, truffando il prossimo ogni volta che poteva. A nulla valsero le proteste di Jack, che si vide sbattere in faccia la Divina Porta.

Così decise di far visita a una sua vecchia conoscenza. Satana, appunto. Io me lo immagino, Satana, tronfio sulla porta dell'Inferno. Se ne sta lì, ad accogliere personalmente i dannati. Ed ecco che vede Jack arrivare, insieme alla sua rivalsa. Vedo persino il suo ghigno.

Jack gli chiese se per caso gli avanzasse un posticino nel suo regno, visto che in Paradiso non lo volevano. A dire la verità, la sua richiesta era solo una forma di cortesia. Sapeva per certo che Satana lo avrebbe accolto a braccia aperte! Figurarsi se si lasciava scappare un'anima in più da torturare!

Fu con grande scorno che il fabbro si sentì rispondere che no, non sarebbe entrato neanche all'Inferno. Dopotutto, Satana aveva rinunciato a ogni diritto sull'anima di Jack. Di conseguenza, Jack non poteva entrare negli Inferi.

Mi immagino a questo punto Jack che sbianca e che chiede “ma di me cosa ne sarà?”. Dopotutto, è morto, e un morto deve stare in uno dei due regni dell'Oltretomba. E vedo Satana che lo guarda e, con un'aria alla Rhett Butler, gli risponde “Francamente me ne infischio!” (N.D.A.: guardate “Via col vento”, per capire la citazione!).

Jack quindi, si ritrovò condannato a girovagare per l'eternità in tutti i meandri della terra per trovare un posto che lo accogliesse. Ad accompagnarlo, un tizzone del fuoco infernale dentro ad una zucca, datogli da Satana in segno di derisione (se ben notate, ad Halloween si intagliano le zucche e ci si infilano dentro lumini: per chi non lo sapesse, questo rituale serve a segnalare a Jack O' Lantern che non può entrare in quella casa.).

In pratica, se chiedete ad un irlandese (un irlandese molto superstizioso) cosa sono i fuochi fatui, lui vi risponderà che si tratta di Jack O' Lantern che cerca un rifugio dove poter finalmente avere il suo eterno riposo.



Molto simile è la leggenda inglese di Will O' The Wisp. L'unica differenza è che, mentre Jack, tutto sommato, è abbastanza inoffensivo, Will O' The Wisp, non contento di essere condannato, si serve di quella lucina per attirare i poveri malcapitati che si perdono nelle paludi. Secondo alcune versioni, Will fa in modo che i poveretti si perdano per sempre nelle nebbie degli acquitrini. Secondo altre, li uccide direttamente e tanti cari saluti.


Per quanto queste leggende esercitino su di me un indiscutibile fascino, però, non è questo il motivo per cui ho scelto questo nome per il blog. Ho letto anche che, secondo alcune leggende nordiche, chi segue i fuochi fatui va incontro al suo destino. Purtroppo, però, non ho trovato alcuna fonte che confermasse questa versione, a parte un film Disney (per amore di cronaca: Ribelle - the Brave) e Wikipedia.

Tuttavia devo dire che mi affascina molto l'idea: stai brancolando nel buio, non sai cosa fare. E ti compare questa lucina tremolante. La segui, non sai se ti farà bene o male, ma lo fai e lei ti porta dove devi andare. Dove? Lo scoprirai strada facendo...

domenica 4 gennaio 2015

Elogio del cantastorie - Angela

Direi che è ora di un articolo un po' più preciso su cosa ci si deve aspettare da questo blog, almeno da parte mia. Non aspettatevi post che dimostrano l'esistenza degli spettri e del soprannaturale. Io sono propensa a crederci, ma non intendo imporre le mie idee a nessuno.

Ho sentito piuttosto spesso di persone che ritengono di avere poteri paranormali. C'è chi dice che percepisce presenze non bene identificate, chi ritiene di poter prevedere il futuro, chi invece sostiene di avere altre sensibilità.

Io non ritengo di avere queste capacità. Il mio primo post parla effettivamente di spiriti, o ne lascia intuire la presenza. Ma l'ho scritto per un semplice motivo: adoro raccontare storie. Questo blog, infatti, o almeno la parte che mi compete, non sarà nient'altro che una raccolta di leggende, più o meno famose, scritte con più dettagli possibili.

In fondo, anche il ruolo del cantastorie è uno dei più affascinanti. È bello vivere certe storie, ma dopotutto è anche bello raccontarle. È un po' come affrontare un viaggio.


Allora, volete seguirmi?


Angela

sabato 3 gennaio 2015

Il mio primo post - Angela

Devo ammettere che non è stato facile pensare a cosa scrivere in questo post.

Come ho già scritto nella mia presentazione, sono un'appassionata di misteri e leggende, specialmente se si tratta di fantasmi.

Quindi, cosa scrivere nel primo post di un blog che ha come argomento principale il soprannaturale?

Quale leggenda devo tirare fuori dalle mie celluline grigie?

Pensa e ripensa, alla fine ho deciso, invece di una leggenda, di raccontare un fatto che mi è realmente accaduto.


All'incirca un anno fa lavoravo in un piccolo hotel alle porte di Venezia, un posticino davvero carino che in origine era una villa veneta.

Ho sempre avuto un debole per antiche ville e castelli, hanno sempre suscitato in me un'emozione molto forte. Immaginatevi quindi cosa significasse per me lavorarci dentro!

Si era a fine gennaio, era bassa stagione e il Carnevale di Venezia era ancora distante. In quel momento l'hotel, già piccolino di per sé, era praticamente vuoto. C'era una sola stanza occupata.

I miei compiti riguardavano l'accoglienza dei clienti. Una volta occupatami di questo, dovevo preparare le tavole per la colazione del giorno successivo. I clienti erano usciti a visitare la zona, così colsi la palla al balzo e andai a preparare i tavoli. La villa era un bell'edificio di tre piani, inclusa la mansarda. Il piano della sala colazioni si trovava al primo. Stesi le tovaglie e tirai fuori i piatti. Fu a quel punto che mi accorsi che le salviette erano finite.

Sicuramente, anche se i racconti horror mi piacciono, non sono nata cuor di leone. Come già detto, ero completamente sola in quel momento, e l'unico posto dove andare a prendere le salviette era uno stanzino che si trovava due o tre scalini prima della mansarda. Piccola complicazione: essendo bassa stagione, la mansarda era completamente al buio. Quando le stanze in mansarda non erano prenotate, evitavamo di accenderne le luci e il riscaldamento per non spendere un patrimonio. Svitavamo anche le lampadine del pianerottolo per evitare che si accendessero insieme a quelle del resto dell'hotel. Figuratevi quanto fossi felice di andare a recuperare quelle benedette salviette!

Ovviamente non trovavo la pila, così mi armai di chiavi dello stanzino e coraggio per andare a frugare nel buio. Arrivata a destinazione, feci un respiro profondo. Tanto bastò a calmarmi, fino a che non entrai nello stanzino. A quel punto sentii dei tonfi sordi alle mie spalle, come se qualcuno stesse camminando. Convinta che i clienti fossero rientrati, corsi giù dalle scale a rotta di collo. Arrivata alla reception scoprii che... non c'era nessuno! Per sicurezza, andai a bussare nella stanza prenotata. Non rispose nessuno. Perplessa, tornai allo stanzino a cercare le salviette. I tonfi sembravano essere cessati. Sembravano... Infatti, dopo due minuti, ricominciarono, insieme allo squillo di uno dei telefoni delle stanze. A quel punto cominciai a sudare freddo.

Oltre a essere sola nell'hotel, avevo con me anche il cordless. Se avesse suonato il telefono dell'hotel, l'avrei sentito. E non era possibile, per un esterno, chiamare direttamente nelle stanze. Il tutto era impostato in modo tale che fosse la reception a inoltrare la telefonata presso la stanza desiderata.

Lentamente uscii dallo stanzino e ancora più lentamente mi avviai verso il pianerottolo della mansarda, visto che, data la mia solita fortuna, il suono dei passi e lo squillo del telefono venivano proprio da lì. Stringendo spasmodicamente il telefono in una mano e le salviette nell'altra, tirai fuori il passepartout, mentre quei rumori si facevano sempre più insistenti. Arrivata fuori dalla porta della stanza incriminata, è calato il silenzio. A quel punto non pensai due volte: girai i tacchi e mi scapicollai giù per le scale.

Non sono ritornata su quel pianerottolo per diversi giorni. E quando ebbi il coraggio di parlarne con la proprietaria, lei mi disse che anni prima, quando stavano per aprire l'hotel, suo figlio, che all'epoca era piuttosto piccolo, si era messo a inseguire e a chiamare qualcuno proprio nella stanza in cui avevo sentito i passi e il telefono. Inoltre erano capitate altre cose strane...

Se fino a quel momento ero stata affascinata ma scettica sull'argomento... beh, diciamo che, forse, ora, nella mia filosofia, ci sono un po' di cose in più tra cielo e terra!


Angela

venerdì 2 gennaio 2015

Sul Sentiero... - Jessica

Con quest'introduzione inauguro il mio primo blog, o meglio il primo blog dove mi cimenterò seriamente assieme ad Angela, in quanto parlerò di alcuni argomenti che mi appassionano e che fanno parte del mio personale percorso.
Sto parlando di tutto ciò che ha a che fare con il mondo delle religioni del mondo antico, il neo paganesimo e lo sciamanesimo. Un sacco di "esimi" insomma.
Per cui, aspettatevi da me articoli che trattano di miti, leggende riguardanti pantheon di diverse aree geografiche e non solo. Questo progetto per me sarà una bella sfida, in quanto non lo trasformerò in un semplice copia-incolla... vorrei che il blog rispecchiasse il mio cammino in quest'universo in continua espansione, e quindi aspettatevi veramente di tutto.
Non sarò, né pretenderò di essere un'enciclopedia ambulante, tantomeno una dispensatrice di verità. Questo mondo è ricco di colori e sfumature, dove molto si basa sull'esperienza personale e sul proprio sentire.
In questo mio primo scritto desidero accennare alle particolari energie del mese di Gennaio... il mese del freddo, dei ghiacci, dove il mondo silenzioso tace mentre nel grembo della terra i semi riposano e si preparano ad affrontare la rinascita della primavera.
Sono convinta che anche per noi sarà così. L'apertura di questo blog ci ha dato lo spunto per prepararci a condividere idee e progetti che sono a lungo rimasti in preparazione nel buio delle nostre testoline.... e nel corso di questo mese ci documenteremo a dovere per rendere piacevole il viaggio in questo sito a tutti i lettori che vorranno come noi avventurarsi sul sentiero dei fuochi fatui.
Buon anno a tutti!

Jessica