venerdì 30 gennaio 2015

Piccole curiosità... - parte 2

Allora, innanzitutto, comincio il post ringraziando per tutte le persone che si sono fermate a dare un'occhiata. Non so se 450 visualizzazioni in poco meno di un mese siano poche o tante, per un blog appena agli inizi. Anche se per noi sono decisamente parecchie! Quindi, Grazie! Con la G maiuscola!


Detto questo, torniamo al nostro post.

Oggi vi parlerò del lato torbido di Venezia (no, non intendo quelle praticamente fogne a cielo aperto che sono i canali...). Non che parlare di Ca' Dario e Poveglia sia stata una cosa così allegra, lo ammetto. Ma, in questo caso, non parlerò ancora di fantasmi. Questo post avrà radici più pragmatiche, più o meno come l'ultimo post che ho pubblicato. Ma mentre Villa Pisani era un argomento curioso e allegro, questo sarà molto più cupo. Vi porterò nella Venezia cinquecentesca, dove la realtà supera qualsiasi leggenda. Siete pronti?



Ricordo che quando studiavo la storia della Serenissima a scuola, pensavo a Venezia come ad un semplice porto. Riccamente decorato, ma nulla di che. Ma il fatto che fosse effettivamente soprannominata la “Regina del Mediterraneo” avrebbe dovuto farmi riflettere più a fondo su cosa significasse realmente essere un veneziano, all'epoca. Una volta di più, ho peccato di superficialità, quella superficialità tipica di chi certe cose è costretto a studiarle, senza interesse e senza cognizione di causa.

L'illuminazione mi è giunta facendo le ricerche per l'hotel in cui lavoravo, di cui vi ho già parlato nei miei precedenti post.

Quindi, come dicevo, avevo un'idea molto vaga di come doveva essere Venezia a quel tempo: un porto molto decorato, con il Doge che comandava. E i veneziani, quelli residenti a Venezia, dico, non i mercanti e i soldati, tutto sommato dovevano avere una vita abbastanza piatta.

Ebbene, mi sbagliavo. Eccome, se mi sbagliavo!

In realtà Venezia era un crocevia di gente molto più varia, si incontravano persone di ogni genere, era tutto un frastuono di rumori e di voci, un miscuglio di colori e di personaggi come raramente se ne sono visti in giro! Venezia aveva posto praticamente per tutti, i veneziani erano gente aperta a qualsiasi nuova idea. Era l'equivalente di Amsterdam ai giorni nostri, insomma. Tanto da avere addirittura un quartiere a luci rosse. Dico sul serio!

Il quartiere si trova nel sestiere (perdonatemi i giochi di parole!) San Polo. Divenne una zona di prostituzione nel 1319, quando morì l'ultimo discendente della famiglia Rampani. Le proprietà della famiglia, non essendoci eredi, andarono quindi alla Serenissima, che, poco tempo dopo, fece trasferire tutte le prostitute della città nelle tenute ereditate da questa famiglia, con l'obbligo di esercitare il loro mestiere solo lì. Le leggi che regolavano la prostituzione erano comunque così severe che quelle donne non potevano nemmeno uscire dalla zona per farsi un po' di pubblicità, nonostante potessero esercitare in tutta tranquillità!

Comunque, le tenute si chiamavano Ca' Rampani. Due o tre secoli più tardi, le prostitute più giovani ricominciarono a popolare le calli di Venezia, mentre quelle anziane rimasero nelle case chiuse, a esercitare il mestiere con discrezione. È per questo motivo che, se si vuole insultare una signora anziana, la si chiama “vecchia carampana”!

Come se non bastasse già il fatto curioso che Venezia avesse il suo quartiere a luci rosse (in fondo, chi penserebbe che nella cattolicissima Italia ci siano quartieri, o ex quartieri, a luci rosse, perfettamente riconosciuti e legali?), il Consiglio dei Dieci, la più alta carica politica veneziana dell'epoca, istituì un'usanza un po' particolare. Come già detto, Venezia ospitava persone di qualsiasi tipo. E, come spesso accade, ne acquisiva anche gli usi e i costumi. Tra questi, vi era anche l'omosessualità. Non fraintendetemi, non ritengo affatto che fossero gli stranieri a portare l'omosessualità. Quella è una pratica diffusa ovunque, fin dai tempi più antichi, checché voglia dirne chiunque. Ma in una città così varia come Venezia, il fenomeno aveva finito per accentuarsi. I tribunali lavoravano instancabilmente per combattere quella che veniva considerata una piaga. Quindi, oltre a frustare, fino ad arrivare addirittura a uccidere, chi veniva colto in fallo, incentivarono anche la prostituzione per stimolare il lato eterosessuale degli uomini. E come?

Beh, con un decreto stabilirono che le prostitute dovessero esibire “la mercanzia”, sedendosi sulle finestre delle case chiuse a seno scoperto. Siccome le case chiuse davano su un ponte, quel ponte venne chiamato “Ponte delle tette”!

Se volete avere una vaga idea di come dovesse presentarsi una scena così singolare, guardatevi "Il mercante di Venezia", con Al Pacino. Come film, illustra molto bene i costumi dell'epoca.


Ci sono altre zone che godono di una fama un po' ambigua, anche se non così goliardica, tanto che i veneziani hanno imparato a temerle. Sono la Calle della morte e il Rio Terà dei Assassini (il rio terà, per chi non lo sapesse, è un canale ricoperto di terra, su cui è possibile camminare).

Queste due strade dal nome così cupo, avevano ragione ad essere temute. Erano le zone più oscure di Venezia, e non era raro che lì la gente venisse ammazzata. Ancora più frequenti erano gli omicidi di Stato. Quando il Consiglio dei Dieci firmava una condanna a morte, il condannato veniva ucciso in piazza San Marco. Ma, se volevano un lavoro lontano da occhi indiscreti, facevano in modo che il malcapitato si trovasse “casualmente” dalle parti della Calle della Morte, o del Rio Terà dei Assassini. Col tempo, la gente evitò di andare in quei posti, a meno che non fosse strettamente necessario. Fu solo quando i cittadini reclamarono a gran voce delle luminarie per quelle calli, che ritornarono ad essere frequentate.

Quelle strade esistono tuttora, ed è possibile passarci.

Certo, complice anche un po' di superstizione, io prima imparerei qualche tecnica di autodifesa! Non si sa mai...

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